La fuga dall’Italia dei professionisti del web: il governo corra ai ripari

Modernità e automazione industriale negli ultimi lustri hanno lasciato senza lavoro numerosi lavoratori del settore dell’industria e dei servizi, resi inutili dalle nuove tecnologie che richiedono sempre meno manodopera umana. Ma nello stesso periodo sono aumentati considerevolmente i lavoratori del web, categoria che 20 anni fa praticamente non esisteva e che oggi conta svariate decine di migliaia di addetti, tra i quali una maggioranza di liberi professionisti, ma anche aziende che fatturano centinaia di migliaia o persino milioni di euro.

Lavori che è possibile fare in qualunque luogo

Dai webmaster agli sviluppatori di siti web, software e apps, passando per grafici, writers, agenzie di comunicazione, gestori e collaboratori di siti web di varia natura. La domanda di servizi attraverso la rete è in costante crescita, e sono già decine di migliaia gli addetti del settore. Si tratta di persone che per lavorare non hanno bisogno di altro che del proprio laptop e di una connessione alla rete. Persone che possono lavorare ovunque, e che proprio per questo sono liberi di trasferirsi all’estero, dove la pressione fiscale è più bassa.

Impossibilitati di evadere il fisco

Mentre liberi professionisti e artigiani, ma anche chi gestisce un esercizio commerciale o una piccola impresa quasi sempre ha la possibilità di “auto-alleggerire” il carico fiscale evadendo – negarlo sarebbe tapparsi gli occhi, vedi i servizi della Iena Marco Maisano sui tassisti di qualche settimana fa – generalmente chi lavora tramite il web non ha la possibilità di evadere un centesimo, in quanto i pagamenti dei compensi o delle fatture non vengono mai elargiti tramite contanti, bensì sono corrisposti con bonifici o altre forme di pagamento tracciabili, che in caso di un accertamento fiscale emergerebbero facilmente. Questo fa si che questa categoria di lavoratori sia costretta a pagare tutte le tasse, che sono veramente insopportabile. Questo spinge i lavoratori del web ad andarsene altrove, dove la pressione fiscale è più basse e sostenibile.

L’unica categoria che non può evadere

Alzi la mano chi, dovendo pagare un libero professionista – una visita medica, ma anche il conto dell’idraulico o del meccanico –  non si è mai sentito dire la formula magica: “senza fattura sono 150, altrimenti con la fattura 200“. Alzi la mano chi facendo acquisti in un negozio, un bar o un ristorante non ha mai comprato qualcosa senza che gli fosse emesso lo scontrino fiscale. O magari uno scontrino “alleggerito” per non uscire dal locale a mani vuote.  Comportamenti che in molti casi sono dettati dall’esigenza di sopravvivere e non dalla volontà di eludere il fisco per fare la vacanza alle Maldive. Perché molte categorie citate sopra se dovessero corrispondere al fisco tutto quello che questo pretende, chiuderebbero i battenti.

Chi lavora sul web non ha questa possibilità, e potendo spostarsi per lavorare ovunque molti operatori del web decidono di andarsene altrove. Mentre l’Italia schiaccia questa categoria di lavoratori, molti paesi del mondo – anche europei – sono ben lieti di accogliere chi lavora sul web, migranti che non “rubano il lavoro” – in quanto hanno già cosa fare – ma anzi portano valore aggiunto e ricchezza nel paese. Persone che pagano le tasse – anche se certamente meno che in Italia – e consumano, facendo girare l’economia.

Le mete dei “nomadi digitali”

Chi lavora da casa o comunque da un ufficio che non deve essere necessariamente in Italia per operare ha diverse opportunità. Una di queste è senza dubbio Tenerife e le Isole Canarie, che oltre ad un clima da favola, tra i migliori al mondo, offrono una pressione fiscale vantaggiosa ed un costo della vita inferiore a quello di molte realtà italiane. A Tenerife sono numerosi i “lavoratori del web” insediatisi dall’Italia, tra cui un’azienda del settore hosting di medie dimensioni, che offre diversi posti di lavoro che se il fisco italiano fosse stato più equo forse sarebbero rimasti in Italia.

A parte Tenerife, sono numerose le mete accoglienti per i lavoratori del web, anche senza uscire dall’Europa. Malta è un’altra meta attrattiva per questo tipo di lavoratori/imprese, così come Gibilterra, che essendo un paradiso fiscale attira generalmente progetti di elevato spessore. Tra i paesi accoglienti per i nomadi digitali ci sono anche il Regno Unito e l’Irlanda – quest’ultima ospita anche le sedi europee di Google, Facebook e altre grosse holding – dove il fisco non supera il 20% del fatturato. Mete meno gettonate ma altrettanto attrattive sono la Slovacchia, l’Albania e la Romania, paesi dove la pressione fiscale è moderata ed il costo della vita inferiore all’Italia, ma si tratta di paesi più arretrati dei precedenti.

Il governo dovrebbe intervenire

Se i paesi sopracitati fanno di tutto per attirare questa categoria di imprese, l’Italia fa di tutto per farle andare via. In questo caso la pressione fiscale elevata non aumenta il gettito per l’erario, ma al contrario lo fa diminuire terribilmente.  Con una situazione fiscale in questo modo nessuna grande azienda del web – settore in crescita e sempre più importante – verrà a mettere radici nell’ex Belpaese, e anzi gli operatori del settore sono spinti ad andarsene. Anche a malincuore, diventa una questione di sopravvivenza.

Se l’Italia avesse un fisco meno oppressivo con questa categoria, anziché costringere gli italiani ad andarsene, potrebbe candidarsi a ricevere questo tipo di immigrazione. Un paese bello come l’Italia sarebbe una meta ambita per i nomadi digitali di tutto il pianeta.

In ballo c’è il futuro dell’economia italiana

Considerando l’importanza crescente del web, che diventerà sempre più centrale nelle nostre vite, con un numero di servizi gestiti tramite la rete o tramite App per smartphone sempre più alto, l’Italia rischia di fare in modo che il settore non si sviluppi, trasferendo le risorse umane italiane nei paesi sopracitati ed in altri che intendono sviluppare questo settore. Mentre si perdono posti di lavoro nell’industria e nel commercio, il web crea sempre più posti di lavoro, ma questi anziché essere creati in Italia vengono creati altrove.

Non ho gli elementi per fare una stima precisa di quanti siano i nomadi digitali, ma si tratta sicuramente di alcune decine di migliaia di liberi professionisti e svariate centinaia di aziende medio-grandi, che danno diversi posti di lavoro. Numeri che sono in costante aumento. 

Persone e aziende dal quale lo stato vorrebbe il 50-60% dei guadagni, e alla fine non ottiene niente. Mentre altri paesi tassano al 20% (e lo ottengono) e importano persone che a parte pagare le tasse, spendono e fanno girare l’economia: affittano o comprano case dando impulso al mercato immobiliare, consumano beni e servizi, spendono nei negozi del posto.