Linkiesta, trasferirsi a Londra e l’avere un po’ di criterio

Mettiamo in chiaro una cosa: l’esperienza di chi si è trasferito a Londra prima del 2010 non ha quasi niente in comune con l’esperienza di chi si è trasferito negli ultimi anni. Non dico che sia come paragonare l’esistenza di un italiano trasferitosi in Inghilterra a fine ottocento, ma la situazione è stata stravolta da un flusso migratorio moltiplicato all’ennesima potenza che ha trasformato Londra in un avamposto italiano.

Questa è solo una delle tante cose che mi ha fatto venire i crampi allo stomaco quando mi è stato linkato questo articolo de Linkiesta che, oltre ad avere una quantità di typo da far svenire qualsiasi persona scriva professionalmente, si inventa aree di Londra come la fantomatica “Shortage”, che immagino sia uno spelling inventato di “Shoreditch”.

Copyright Christine Matthews and   licensed for reuse under this Creative Commons Licence.
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Nessuno sembra aver suggerito all’intervistato Stefano Barone che se tredici anni fa si poteva ancora sperare di arrivare a Londra non sapendo una parola d’inglese, adesso la quantità di giovani che migrano dall’Europa per lavorare e studiare distrugge le possibilità di chi non sa già almeno un po’ d’inglese.

Tra l’altro mi chiedo come sia la sua lingua parlata, visto che “non serve una grossa base grammaticale” e “l’inglese è fatto di combinazioni fisse di parole”. Cos’è, la lingua farfallina? Tutte le lingue hanno frasi fatte che si ripetono quotidianamente – o voi vi inventate una forma nuova per dire “buongiorno” ogni mattina? Come avevo già detto, per lavorare a Londra l’inglese lo si deve parlare, e bene.

L’idiozia suprema arriva quando l’articolo sostiene che “la scuola italiana avrebbe già dovuto insegnarci l’inglese”. Spoiler alert: la scuola italiana l’inglese lo insegna, a chi lo vuole imparare. Se non avete fatto niente per tredici anni di educazione obbligatoria perché “l’inglese è difficile”, non andate a rinfacciarlo al vostro insegnante che, per quanto incapace, si è fatto un mazzo tanto per cercare di insegnarvi a dire “My name is Marta and I am twenty-four years old”.

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Ancora più random il suggerimento di andare ad abitare a Harrow appena trasferiti a Londra. Abitando io nella stessa direzione generale di Harrow, ho presente che da casa mia (zona 3) ci vuole mezz’ora per arrivare a Piccadilly Circus. Come può volerci mezz’ora da un posto che è in zona 5/6? Come può un ragazzo che magari lavora da Costa e apre il negozio alle sei di mattina a King’s Cross andare ad abitare in un sobborgo?

Ad Harrow, ed in qualsiasi altra area residenziale un po’ fuori mano, ci si va ad abitare quando si ha una vita solida e “9 to 5”, non quando si fanno turni assurdi e si è arrivati in un nuovo Paese da due settimane. A Harrow ci si prende l’appartamento, non la stanza in una casa condivisa con tredici coinquilini.

Quanto è facile dire che esiste “un ristorante costoso quanto incontrarne uno davvero economico a pochi passi di distanza” o “un’economia alternativa fatta di mercatini degli agricoltori e allevatori, locali ad accesso gratuito” senza fare neanche un esempio? È vero, esistono, ma dove? Fuori i nomi.

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Continuare a presentare Londra come il paese dei balocchi è deleterio. Dire che si può vivere con pochi soldi qui è una bugia, ed è una carognata far credere a chi vuole trasferirsi che le difficoltà saranno minime, se ce ne saranno. Mi fa venire l’orticaria quando vedo questo genere di libri e articoli che capitalizzano sulle speranze e i progetti di chi vuole trasferirsi all’estero senza sforzarsi neanche di dire delle cose che hanno un minimo di criterio.

Da quando ho iniziato a lavorare su Vivere Londra, ho dibattuto con Sara di Zingarate, con me stessa e con vari amici expat se fosse il caso di parlare del trasferirsi a Londra o se potessi glissare sull’argomento che, come avrete capito, mi fa sempre venire l’acidità di stomaco. Quando vedo cose come il pezzo de Linkiesta, mi sento spronata ad almeno tentare di mettere online delle informazioni scritte con un po’ di criterio. Nessuno è onnisciente e perfetto, ma un minimo di competenza talvolta non è male.

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