The end: quando finisce l’interrail (pt.12)3 min read

Il viaggio è finito. In realtà sono 3 giorni che abbiamo questa sensazione. Ma solo quando varchiamo il confine italiano lo realizziamo. Le nostre energie sono ridotte al minimo. Decidiamo comunque di raschiare il fondo del barile: tutta la giornata a Trieste, poi trasferimento in serata a Venezia senza pernottamento per ripartire la mattina successiva alla volta di Napoli. In pullman. I più maliziosi noteranno che la prova fisica è solo un pretesto. In realtà non abbiamo la minima intenzione di spendere soldi per una notte in albergo.

Il problema è che tra il dire e il fare c’è tutta una giornata da trascorrere a Trieste. Soprattutto le ore della siesta. Non proprio l’ideale sotto il sole rovente della vampa d’agosto. Ah, dimenticavo, per la cronaca: sono appena le 9. Ci fermiamo nel primo bar del centro. Le cameriere sono molto gentili (dopotutto siamo nella città con gli abitanti più cordiali d’Italia) ma certo non immaginano che la nostra colazione diventerà un interminabile tiki-taka con un obiettivo ben preciso: lasciar scorrere le lancette delle ore e dei minuti. Intorno a mezzogiorno ci alziamo e costringo Paolino, in crisi nera come un ciclista sul Mont Ventoux, a raggiungere il Castello Miramare. Il pullman ci lascia nella all’ingresso. Ma dall’ingresso al monumento c’è tutto un vialone lungo da percorrere al sole. E’ una via crucis laica, scandita dalle bestemmie del povero Paolino. La fatica viene comunque premiata, perchè il Castello di Miramare è un incanto. Anche con 40° all’ombra. E resistere alla tentazione di buttarsi nella riserva marina, nonostante i cartelli di divieto, è molto difficile.

 

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Alla fine cediamo. Non ce la facciamo più a stare in giro e con le lacrime agli occhi prenotiamo una camera per la notte a Venezia. Ci resta quindi un ultimo tratto da fare in treno. Ma Paolino ha l’intuizione della vita: sfrutta la normativa poco chiara sui biglietti in patria e con una supercazzola degna del miglior conte Mascetti convince l’impiegata della biglietteria a darci i biglietti della tratta Trieste-Venezia a metà prezzo. Chapeau.

Quando arriviamo nella “Serenissima” le pile sono così scariche che guido la marcia verso l’albergo con la cartina al contrario. Morale della favola: un tragitto di 500 metri diventa una maratona estenuante tra le calli e i campielli. In pratica attraversiamo tutta la città a piedi e con gli zaini sulle spalle. D’un tratto il panico: ma non è che il nostro albergo si trova nella Giudecca, cioè sull’altra sponda, attualmente irraggiungibile perchè il servizio di trasporto è sospeso? Attimi di terrore che finiscono quando Paolino, decisamente più lucido di me, prende in mano la cartina e fa strada. L’albergo è sulla giusta sponda fortunatamente. Tuttavia si è accorto del enorme giro fatto senza motivo. E pertanto si chiude in un mutismo selettivo per non inveire contro di me. Quando entriamo nella reception per poco non baciamo la moquette. Siamo arrivati. Distrutti. Ma ce l’abbiamo fatta.

Il giorno dopo saliamo sul megabus che ci porterà a casa. Siamo in condizioni pietose. Paolino ha esaurito tutti i panni e viaggia con la sua tenuta da notte: pantaloncini da calcio e maglia della salute nera. Insomma, il pigiama di Giacomo Poretti in “Tre uomini e una gamba”. Io ho dovuto riciclare una maglia del secondo giorno. Quella in condizioni meno pietose. Mentre il pullmann corre sull’autostrada deserta inizio a scrivere le nostre memorie di viaggio.

Dicono che il viaggio ci cambi. Cioè, torniamo diversi rispetto a quando siamo partiti, migliori. Non credo a questa funzione catartica del viaggio. Una volta a casa saremo quelli di sempre con le nostre fragilità, debolezze e pregi. Ma avremo comunque assaporato quell’anelito all’infinito che si chiama LIBERTÀ’. Ho appena detto questa cosa a Paolino e lui mi ha risposto con un onomatopeico “BURP” prima di infilarsi le
Cuffie e ascoltare musica classica(Sostakovic). Del resto questo è l’uomo; un essere sospeso tra la scimmia e il superuomo. Ma con l’indole di Ulisse.

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