Un viaggio di venti minuti

 

 

Un viaggio di venti minuti

 

Sono in tanti, sparsi nel grande fiume e non sono mai tutti uguali.

Si distinguono per i colori, i suoni e l’energia delle loro bianche scie d’acqua. Non hanno tutti la stessa eta’. Quelli ormai piu anziani rimbalzano costantemente tra Cais do Sodre’ e Cacilhas, mentre i nuovi arrivati alla foce del Tago scivolano rapidi verso le citta’ piu lontane dell’altra riva.

I piu esperti navigatori di questo breve braccio di fiume e mare non sono di grandi dimensioni, si dividono su due piani e sono circondati da una continua linea arancione appena sopra lo scafo scuro. All’ora del tramonto il sole colora un lato di questi battelli, nei cui finestrini si riflettono ad intermittenza le ultime luci del giorno che fugge oltre l’orizzonte. Che si scelga il borbottare di queste anziane imbarcazioni o i nuovi motoscafi, una cosa non cambia: il non potersi godere il viaggio all’aria aperta.

Un viaggio di venti minuti

Non ci si puo appoggiare sul ponte. Non esistono ponti. Bisogna attendere il tempo del viaggio, quasi che l’altra faccia di questa citta’ bianca non possa svelarsi completamente prima di mettere piede sul Margem Sul. Il viaggio per raggiungere l’altra riva è breve e ha inizio nel largo corridoio della moderna stazione marittima. I diversi destini appaiono su luminosi schermi rossi e ci indirizzano verso le aree di attesa. In queste larghe sale grigie siedono uno a fianco all’altro tutti i volti di questa costante gita che la modernità non riesce a superare.

La maggior parte dei viaggiatori sta tornando a casa, sono gli abitanti delle prime città del sud del paese.

Attendono l’imbarco con l’espressione disinteressata di chi ogni giorno attraversa questo fiume ipnotico e quasi voltano le spalle a coloro che incuriositi si trovano qui per la prima volta. Insieme a loro si riconoscono gruppi di ragazzi, spesso stranieri, che attendono trepidanti; si voltano verso il fiume, guardano le altre barche e provano ad intuire quale sara’ la loro. Decisi ma discreti, i pendolari del Tago si alzano in piedi non appena il traghetto inizia ad accostarsi alle banchine di Lisbona. È un segnale per tutti: uno dopo l’altro si alzano i giovani, gli studenti e i turisti: tutti in coda di fronte alla grande porta rossa.

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Quando gli ultimi passeggeri sono sbarcati, una luce inizia a roteare, precedendo il fischio ripetuto che spalanca lentamente il grande portale. Senza premura, ordinatamente, scendiamo i ponti metallici, intravedendo sotto le scarpe l’acqua limacciosa del fiume. Un viaggio é sempre fatto anche di suoni e mentre noi ora ci accingiamo a salire, le pedane sfregano sulla banchina a ritmo delle onde e il rumore sordo dello scafo che sbatte contro il molo si alterna allo stridere lamentoso delle cime che si impegnano a tenere la barca ferma accanto alla banchina.

Il saluto della sirena e gli unici rumori diventano le voci dei passeggeri e del vecchio motore.

Ci si siede su scivolose sedute consumate e si inizia navigare sforzandosi di intravedere qualcosa dai finestrini resi opachi dall’aria umida dell’oceano. Pochi distratti minuti ed ecco riecheggiare quegli stessi suoni che ci avvisano che siamo giunti a destinazione. L’arrivo é sempre un rito al contrario.

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Prima lo sbarco, con i marinai ad assicurarsi della nostra discesa, poi i ponti coperti e infine la stazione marittima e l’uscita in un mondo tanto diverso da quello della capitale che abbiamo alle spalle. I passeggeri si disperdono nel grande piazzale di Cacilhas. Alcuni condivideranno altri viaggi sui pulmann che li condurrano verso casa, mentre i piú fortunati si incamminano attraverso il piccolo paese che odora di pesce alla griglia. Noi siamo curiosi e ci infiliamo in una stretta via bagnata dal Tago che dopo pochi passi apre il suo sipario su questa cittá bianca distesa sulle colline. Una fila di case di pescatori venute da un altro tempo, ci guarda le spalle. l nostri occhi corrono sulla città di cui non sentiamo i rumori ma percepiamo la memoria delle immagini che l’hanno resa nostra.

Una discesa di tetti rossi interrotti dall’esplosione di bianche chiese che nascondono tra vie invisibili lo spirito che rende eterne le città. Il battello riparte alla nostra destra, rapido e disinteressato alle nuvole che correndo macchiano l’acqua del fiume.

Un fiume lento inquieto e poco fedele che dopo pochi istanti cancella e dimentica la bianca traccia lasciata dai suoi navigatori.

di Paolo Catrambone

 

Copyright fotografico Fabio Salvo – www.fabiosalvo.net

 

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