Siamo sempre felici di ricevere i vostri racconti, Lisbona ammalia e affascina e come diciamo spesso, continua a mietere vittime…d’Amore s’intende.
Dopo aver pubblicato, tra i tanti altri, il bellissimo racconto di Paolo al di là del Tejo
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e l’arrivederci di Chiara
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Oggi pubblichiamo questo stupendo racconto di Rossana, faccia a faccia con la Torre di Belém e non solo.
Questo è il suo bellissimo blog: Mymicroscope
E questo il suo racconto:
In volo verso la libertà
Quand’ero ragazzina, detestavo le smemoranda.
Avevo trovato una linea di diari che mostrava il mondo intero, anche se a disegni. E così avevo imparato a immaginare di viaggiare. Viaggiavo con l’immaginazione, perché fino ad allora non avevo mai potuto farlo in altro modo. Una delle prime immagini che mi erano rimaste impresse era quella della Torre di Belém.
La immaginavo grandiosa, enorme, imponente. Quando mi ci trovai di fronte in carne e ossa, rimasi un po’ delusa. Mi sembrava più piccina di quanto avevo imparato ad amarla. Poi, infilandomici dentro e osservando il Tejo dalle sue feritoie, con il vento dell’Atlantico che mi sferzava il viso, ritrovai la Belém che avevo sognato nell’infanzia: quella a guardia di tutti gli oceani, a custodia di tutti i sogni.
E ripresi ad amarla.
Probabilmente fa quest’effetto anche al turista sprovveduto che si reca a Lisbona perché non sa dove altro andare, o solo perché gli hanno detto che è economica e si mangia bene. All’italiano medio, in genere, interessa spendere poco e riempirsi di buon gusto lo stomaco. Gira per l’Europa, ha detto oggi mio suocero di mia figlia, con un tono fra il solenne e l’infastidito, accompagnando la frase con un gesto teatrale. Come se i bimbi, viaggiando, fossero più importanti, o più spendaccioni.
Io credo che il viaggio sia un mezzo per crescere, a ogni età. Non c’è un’età minima a cui iniziare. E ogni viaggio è una tappa importante, un mattone in più per costruire la nostra persona, arricchirla. C’è chi conduce la sua vacanza oziando. Ma il viaggio, di per sé, è un ozio produttivo. Insegna ad amare i luoghi, le culture, se si è lontani dal proprio Paese d’origine, a considerare gli altri come un valore aggiunto.
Lisbona appartiene al Paese del grazie. Non c’è nessuno, nemmeno bambino, che non sappia dire grazie.
Lisbona insegna a essere grato agli altri, e tu impari dagli altri a ringraziare, sempre. E a salutare, entrando in un caffè, in un negozio, in un museo, a seconda dell’ora del giorno.
E quando si torna in Italia, si trova gli altri scostanti, scostumati, impertinenti. Perché al casello autostradale il tizio che ti dà il resto non ti calcola di una virgola, e al supermercato i commessi imprecano perché vogliono andarsene a casa.
Quando torno a Lisbona, torno a casa.
Durante l’anno sento il bisogno di tornare nella capitale lusitana come si sente il bisogno di stendersi nella camera da letto dopo essere stati a lungo fuori. E così, al termine di questo viaggio, non posso che leggermi Tabucchi, e Saramago. Per ritrovare le piazze, i giardini, gli elevadores, l’eléctrico.
Anche a Lisbona, purtroppo, sono arrivati gli orrendi odiosi pullman-carrozzoni del Sightseeing. Se amate la città, non saliteci. Se siete solo lì perché non avevate altra scelta, prendeteli pure, per voi non cambia niente.
Ma se l’amate come amate voi stessi, prendetevi il 28 davanti al Cemitério dos Prazeres, senza prima esservi persi in un giro fra le tombe. Lì è sepolto Tabucchi – il suo amato Pessoa è stato traslato al Mosteiro.
Ogni giorno, dai suoi libri, si affaccia sulla città, sul Tejo, sul vicino Santo Amaro. E’ quel gabbiano che volteggia, si abbassa, lancia un grido e se ne va.
Di Rossana D’Ambrosio
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