Itinerari cilentani: La Certosa di Padula, “L’ingresso al cielo”

Certosa di Padula - vista aerea
Certosa di Padula – vista aerea

“Qui c’è la pace sicura, di qui l’ingresso al cielo, rimani qui tranquillo, ti attende la vera pace”: così recita l’iscrizione che domina il portale di accesso al chiostro di questo imponente e sontuoso complesso monumentale.

Ubicata sotto la collina dove sorge il paese di Padula, la Certosa di San Lorenzo è uno dei monasteri più grandi del mondo e tra quelli di maggior interesse in Europa per magnificenza architettonica e abbondanza di tesori artistici.

Per rendere l’idea di quanto sia grandioso questo capolavoro, è il caso di dare, letteralmente, i numeri: cinquantaduemila metri quadri, di cui trentamila abitabili; trecentoventi stanze, riscaldate da un centinaio di camini; tredici cortili, cinquantadue scale, quarantuno fontane, cinquecento porte, cinquecentocinquanta finestre, ottantaquattro colonne, seicentosettantadue metope, tre chiostri, tra cui il Chiostro Grande, che per dimensioni – 104m x 150m, ovvero oltre 15.000 metri quadri – non ha eguali al mondo.

La Certosa di Padula rappresenta un autentico gioiello urbanistico i cui spazi sono regolati da criteri estetici e funzionali davvero straordinari, che rispettano rigorosamente gli equilibri gerarchici propri di una abbazia e dei simboli cui fanno riferimento. In questo monastero – città, infatti, la semplicità convive con lo splendore, la magnificenza con il rigore, e il risultato è un unicum che ricompone queste dualità: all’umiltà della vita monastica fa da contraltare la superba struttura architettonica, quindi il decoro spartano delle celle dove i religiosi trascorrevano la loro isolata vita di preghiera si accompagna allo sfarzo dei marmi policromi intarsiati del salone centrale, agli stucchi dorati della chiesa a navata unica, con le sue decorazioni caratteristiche del barocco napoletano, i pavimenti maiolicati, le cappelle marmoree, e l’impressionante porta di ingresso trecentesca in cedro del Libano.

L’edificio originario su cui sarà poi costruita la Certosa, la Grancia di San Lorenzo dell’Abbazia di Montevergine, già appartenuta ai monaci Basiliani, fu donata nel 1306 dal normanno Tommaso II Sanseverino, conte di Marsico, barone di Sanseverino, signore di Centola, Polla e Cuccaro, signore di Atena, signore di Postiglione, signore di Sanza, signore di San Severino di Camerota, Casal Boni Ripari, Pantoliano, Castelluccio, Cosentino, Corbella, Monteforte, Serre e Padula, signore di Policastro e barone di Cilento, Diano, Lauria, Sant’ Angelo a Fasanella, Magliano Vetere e Sant’Arsenio, ai Certosini: ordine religioso fondato nel 1084 da San Brunone in Francia, a Chartreuse (da cui il nome).

Sulla decisione del conte Tommaso di fondare la Certosa pesò senz’altro la volontà di porre un sigillo al vincolo di fedeltà che lo legava alla dinastia francese degli Angioini, i quali nutrivano una particolare benevolenza in favore dell’ordine dei certosini: in tal modo rafforzò l’appoggio angioino alla sua posizione di signore del Vallo di Diano che, naturalmente, egli svolgeva per contraccambio in funzione anti-aragonese; il Vallo di Diano, infatti, era cruciale territorio di collegamento fra la Campania e la Calabria, quest’ultima in quel momento storico sotto il controllo della dinastia aragonese.

In secondo luogo, inoltre, Tommaso Sanseverino potè contare sulla preziosa opera di bonifica che i Certosini svolsero nella valle invasa dalle paludi, a causa delle piene del fiume Tanagro, non più adeguatamente governate per secoli dopo la caduta dell’Impero Romano.

La Certosa di San Lorenzo fu progettata secondo la struttura tipica delle certose, dovendo rispecchiare la vita religiosa e pratica dell’ordine. L’organizzazione degli spazi seguiva la distinzione tra una parte alta, dove alloggiavano i padri certosini, conducendovi una vita intimamente religiosa ed ascetica; e una parte bassa, cioè gli ambienti che, per la loro collocazione bassa, per l’appunto, erano adatti all’esercizio delle attività mondane. Qui stavano i conversi, che avevano il compito di curare i rapporti con le comunità residenti nel territorio circostante, di amministrare i beni dell’ordine, di sovrintendere alle attività agricole ed artigianali. La tipica pianta della costruzione doveva ricordare la forma della graticola, quindi il martirio del Santo cui è dedicata.

Un muro molto esteso, pensato a scopo di difesa, circonda il monastero. Immediatamente dietro le mura vi erano gli orti. Dopo avere varcato il portale d’ingresso si potevano osservare i depositi, le stalle ed il ricovero per i pellegrini. Anche la chiesa era divisa tra una parte alta, riservata ai padri, e una parte bassa, per i conversi.

La Certosa, pur avendo subito profonde trasformazioni nel corso dei secoli, ha conservato questa struttura delle origini.

La porta della chiesa in cedro del Libano, come detto qualche rigo più su, è del 1374. Al 1400 risalgono il bassorilievo in pietra al lato delle scale che conducono alla foresteria. Nel 1500 furono costruiti, in particolare, i due cori della chiesa, una riservata ai padri e l’altra ai conversi, e il Chiostro della Foresteria. I lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento del Chiostro Grande si protrassero oltre la metà del ‘600. In questo secolo la chiesa fu impreziosita con arredi sacri in argento. Nel corso del ‘700 fu edificato il refettorio attuale, mentre i vari ambienti furono abbelliti con decorazioni in stucco.

A questo periodo risale anche il bellissimo ed imponente scalone ellittico, composto da 38 scalini monolitici, che si svolgono lungo un cordolo in pietra: questo miracolo di ingegneria, chiuso all’esterno da una torre ottagonale, conduce dal Chiostro Grande alla biblioteca, che ospita molti testi rari.

Passato il Regno di Napoli sotto il dominio della Francia di Napoleone Bonaparte, gli ordini religiosi furono soppressi, e così la Certosa di Padula cadde in disgrazia: essa fu spogliata del suo patrimonio di libri, d’archivi e d’arte, dei suoi tesori in oro ed argento, del Tabernacolo in bronzo, oggi nuovamente collocato nella sagrestia del Convento. Cessata la dominazione francese, i certosini poterono tornare nel monastero. L’antica magnificenza rimase però soltanto un ricordo nostalgico d’altri tempi e, anzi, vi fu una progressiva decadenza che portò nel 1866 alla soppressione del monastero. Nel 1882 la Certosa fu dichiarata monumento nazionale e affidata alle cure del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Ciò nonostante non seguirono interventi concreti di recupero, così il peggioramento del suo stato proseguì.

Solo a partire dal 1982, quando il monastero fu affidato alla Soprintendenza dei Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno, furono avviati lavori importanti di restauro e promosse iniziative di valorizzazione.

Oggi la Certosa, divenuto centro vitale d’iniziative culturali d’ampio respiro, ospita il Museo Archeologico della Lucania Occidentale e laboratori di restauro altamente qualificati. Inoltre, gli ambienti della Certosa sono diventati spazi espositivi per maestri dell’arte contemporanea.

Qui il grande critico d’arte Achille Bonito Oliva (originario, tra l’altro, di Caggiano, pochi km da Padula) ha curato la manifestazione Le Opere e i Giorni, qui è possibile ammirare una corposa quantità di opere di grandi maestri dell’avanguardia quali Chia, Cucchi, De Maria, Paladino, Mauri, Zorio, Ontani, Lewit, Fabre, Paik, Balestrini, Isgrò, Kapoor, Pirri, Salvadori, accanto a quelle di Cecchini, Bartolini, Perino e Vele, Airò, Benvenuto, Pancrazzi, Lim, Kirchhoff, Amer, Barclay, Chiasera, Moro, Toderi.

Per la sua incomparabile bellezza, la Certosa di Padula è stata iscritta nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Certosa di Padula – Lo Scalone

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

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