Il Cilento dal periodo angioino fino all’avvento degli Aragonesi.

Agropoli, Castello Angioino - Aragonese (fotografia di Gisella Forte)
Agropoli, Castello Angioino – Aragonese (fotografia di Gisella Forte)

Dopo la Pace di Caltabellotta del 1302, che mette fine ai primi vent’anni di guerre tra Angioini e Aragonesi, (come visto in questo precedente post), il Regno di Sicilia, istituito dai Normanni dopo la cacciata degli Arabi qualche secolo prima, viene diviso in Regno di Trinacria, agli Aragonesi, e Regno di Napoli, agli Angioini.

L’aragonese Federico, figlio del re Pietro III d’Aragona “il Grande” e della principessa sveva Costanza di Hohenstaufen, diviene infatti re di Trinacria, a condizione di restituire la corona siciliana agli Angioini alla sua morte: naturalmente, la cosa non succede, l’isola rimane in mano aragonese e lo scontro con gli Angioini si protrae ancora. La linea del fronte corre, ancora una volta, anche sul territorio del Cilento, tra castelli, rocche, gole e fiumi.

In questo periodo, precisamente nel 1306, Tommaso Sanseverino, Conte di Marsico, Barone del Cilento e Signore di Diano, della potentissima famiglia normanna dei Sanseverino, ottiene dal Monastero di Montevergine i resti di un antico monastero e la chiesa di San Lorenzo a Padula, e vi edifica un mirabile monumento, donato poi – tanto per rimarcare la sua fedeltà alla corona napoletana in funzione anti-aragonese – all’ordine dei Certosini, tanto “cari”, appunto, agli Angioini (l’ordine nasce grazie a San Brunone e deve il suo nome alla città francese di Chartreuse).

Quel monumento, oggi, è uno dei monasteri più grandi del mondo, è Patrimonio dell’Umanità UNESCO per la sua incomparabile bellezza e per la ricchezza dei tesori che nasconde, e risponde al nome di Certosa di San Lorenzo in Padula.

Negli stessi anni, la moglie di Errico Sanseverino, Maria di Lauria, figlia dell’Ammiraglio Ruggero di Lauria, fonda sette conventi francescani, tra cui quello dei conventuali di Cuccaro Vetere.

Nel 1347, la Pace di Catania chiude il secondo periodo della Guerra dei Novant’anni: gli Angioini rinunciano ancora una volta alla sovranità sulla Sicilia (facendo fallire il piano di Carlo d’Angiò di estendere, attraverso il regno siciliano, la sua influenza sull’intera penisola), e gli Aragonesi rinunciano ad invadere il Regno di Napoli. Ben presto, l’accordo diventa carta straccia e la guerra continua fino al 1372, quando, con la Pace di Avignone, la corona di Sicilia diventa vassalla della corona di Napoli e della sua prima sovrana, Giovanna d’Angiò.

Finita qui? Neanche a dirlo. Le contese dinastiche continuano, acuite dall’esplodere, nel 1377, dello Scisma d’Occidente, per cui più papi reclamano il Soglio di Pietro.

La stessa regina Giovanna muore assassinata da suo cugino Carlo di Durazzo, che alla morte del pretendente al trono Luigi d’Angiò diventa sovrano indiscusso di Napoli con il nome di Carlo III di Napoli e inaugura il ramo degli Angiò – Durazzo.

I poteri baronali istituiti con i Normanni si estendono, così come drammaticamente si estendono i latifondi incolti e lo strapotere della nobiltà, sia laica che ecclesiastica: dal 1343 al 1442, data in cui gli Aragonesi cacceranno gli Angioini dal trono di Napoli, l’intera popolazione meridionale passerà per guerre, fame ed epidemie (la Peste Nera del 1348, per esempio, che uccide un terzo dell’intera popolazione europea), e il risultato sarà che da circa 3,4 milioni di abitanti scenderà a circa 1,7 milioni.

Gli Angioini infatti peggiorano notevolmente le condizioni sia dei feudatari sia del popolo delle campagne, profondamente vessato da imposte e atti amministrativi che aggregano beni e terreni alla Corona, poi rivenduti con lo scopo di bilanciare le spese statali.

Napoli capitale conosce invece un grande splendore in epoca angioina – diventa infatti, specie con Roberto D’Angiò, una metropoli di livello europeo, dotta, grazie all’Università fondata da Federico II, e cosmopolita, grazie alla presenza in pianta stabile di fiorentini, genovesi, provenzali, mirabilmente descritta come allegra e pittoresca dal Boccaccio nel suo magnifico Decameron.

A più riprese, il popolo si solleva contro il malgoverno angioino, contro il quale si esprime addirittura il papa, come riportato dai Registri Angioini del Regno.

L’antico Giustizierato – ossia le attuali province di Salerno, Avellino e parte del beneventano, smembrato in Principato Citra e Ultra avente Montoro come limite (“citra et ultra serra Montorii”) è spesso messo a soqquadro.

Il popolo, già vittima degli eccessi degli Almogàveri aragonesi, reagisce anche contro il dominio angioino: a Roccagloriosa rifiuta di prestare giuramento al feudatario Giovanni Mansella, nominato capitano delle frontiere del Principato. A Capaccio, il vescovo viene ucciso. Camerota e Policastro, manieri fortificati di eccezionale importanza fin dai tempi dei Longobardi e dei Bizantini, insorgono.

Gli Angioini, per tutta risposta, continuano la loro politica filo-guelfa, stringendo rapporti sempre più stretti con Avignone – nuova sede papale fin dal tempo della Cattività avignonese – e con gli immancabili banchieri fiorentini, che nel perseguire i loro biechi interessi economici creano irreparabili danni alle attività commerciali e marinare che fino a quel momento avevano garantito l’eccezionale sviluppo dei porti meridionali.

Giusto per fare un esempio dell’importanza del commercio marittimo a sud in questa fase della Storia, i primi europei a bere un caffè sono stati i salernitani: fin dal 1132 avevano ricevuto come pagamento dei carichi di caffè provenienti dalla Penisola Arabica, che le navi di quella che fu la gloriosa Repubblica di Amalfi avevano portato alla Scuola Medica Salernitana. Spagnoli e Portoghesi che poi domineranno il commercio di questo prodotto attraverso le rotte sudamericane arriveranno a provare questa bevanda con più di tre secoli di ritardo rispetto a Salerno.

Il sistema feudale imposto al Sud dai Normanni e consolidatosi con gli Svevi, diventa quindi, con i Francesi della Casa d’Angiò, il più egoistico baronaggio che la storia ricordi.

Da un punto di vista architettonico, questa storia può essere letta nelle innumerevoli fortificazioni angioine ancora visibili nel Cilento, che danno un quadro preciso dell’importanza assunta dai castelli nella Campania medievale e tardomedievale. Ad esempio, la già citata famiglia Sanseverino, che fin dall’epoca normanna entrò in possesso di enormi dotazioni fondiarie, ampliatesi per secoli fino agli anni della dominazione aragonese, costruì luoghi fortificati al centro di ogni proprio possedimento, aventi soprattutto una valenza militare, in quanto erano di solito integrati in una rete la cui efficacia risiedeva nel controllo delle vie di comunicazione.

L’ampiezza dei recinti murari che racchiudono spesso piccoli ambienti, verosimilmente case e annessi, indica che i castelli erano anche poli del popolamento e probabilmente svolgevano una funzione direzionale nello sfruttamento delle risorse economiche.

I quasi due secoli di dominio angioino terminano con la lotta per la successione di Giovanna II D’Angiò tra Renato D’Angiò e Alfonso V D’Aragona: dopo lunghe guerre, nel 1442 sarà quest’ultimo a trionfare, entrando in maniera rocambolesca nella Napoli che aveva assediato mesi prima – attraverso un acquedotto. La Corona di Sicilia si riunisce così alla Corona di Napoli, e si inaugura una nuova fase per il Cilento e per tutto il Sud: il periodo aragonese. E questo è già argomento di un post a venire…

Vista aerea della Certosa di San Lorenzo in Padula (SA)
Vista aerea della Certosa di San Lorenzo in Padula (SA)

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

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