Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lunga lettera di Giuseppe, un connazionale che da 28 anni vive in Germania, inviata come risposta all’articolo “Adios Tenerife: vi spiego perché vado a vivere in Germania” che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi. La storia del cuoco romano che lascia Tenerife ha scatenato un ampio dibattito sui social, dove ha ottenuto quasi mille commenti.
Ho letto con grande sentimento la lettera del cuoco italiano che ha lasciato Tenerife per venire a lavorare in Germania, e devo dire che mentre scorrevo il testo ho provato un certo senso di immedesimazione. Mi sono riconosciuto nel suo entusiasmo, nelle speranza di trovare condizioni di lavoro e di vita migliori in Germania. Gli auguro di trovare tutto questo, anche se personalmente, almeno all’inizio, trovai ben altro.
Vivo in Germania da 28 anni
La mia esperienza in Germania è iniziata nel 1995, assunto come aiuto cuoco in un ristorante italiano. Dopo quasi 30 anni ci vivo ancora oggi, anche se da molto tempo non lavoro più nelle cucine. Dopo anni trascorsi davanti ai fornelli, lavorando dodici o più ore al giorno, tutti i fine settimana e le feste comandate, ho chiuso con la ristorazione e ho trovato un impiego con orari e turni molto meno impegnativi.
Rispetto al 1995 le cose sono profondamente cambiate in Germania, così come in Italia e credo un po ovunque. A quei tempi c’erano ancora la Lira italiana ed il Marco tedesco, e avevo ancora i capelli. Non dimenticherò mai le emozioni che provavo mentre viaggiavo in treno, da solo, con destinazione Colonia, Renania Settentrionale-Vestfalia. Guardavo fuori dal finestrino il mondo che scorreva davanti ai miei occhi e non vedevo l’ora di arrivare e iniziare la nuova vita.
Trovai lavoro grazie ad un amico di famiglia
All’epoca non c’erano i social network, ed il lavoro in Germania si trovava partendo all’avventura o per grazia ricevuta da qualche parente o amico che viveva lì e ti apriva la strada. Io faccio parte della seconda categoria. Un amico di famiglia mi aveva segnalato che un ristorante italiano che pagava molto bene cercava un aiuto cucina, e ci aveva messo la classica “buona parola”. Dopo un colloquio telefonico con il padrone del locale fui invitato a presentarmi prima possibile, per fare i documenti ed iniziare a lavorare. In quegli anni non usava chiedere al datore di lavoro quanto ci avrebbe pagato. Fare domande sullo stipendio in occasione del colloquio era visto come un qualcosa di maleducato che avrebbe potuto compromettere l’assunzione. Partii dunque senza sapere quanto avrei guadagnato, ne quali sarebbero stati gli orari di lavoro.
L’inizio della nuova vita in Germania
Una volta giunto nella maestosa stazione di Köln Hauptbahnhof venne a prendermi l’amico di mio padre, che mi ospitò per un paio di settimane, in attesa di potermi sistemare in una casa condivisa, nella quale si sarebbe liberato un posto letto di lì a poco. Non avevo una camera tutta per me, condividevo la stanza con un altro ragazzo. In quella casa vi erano tre camere da letto e ciascuna era occupata da due persone. Non era la sistemazione dei sogni, ma per iniziare andava bene. Inoltre era gratis, visto che era messa a disposizione dal datore di lavoro. Pensavo che con il tempo avrei potuto trovare una sistemazione diversa, ma le preoccupazioni per la mancanza di spazi personali vennero presto meno, dal momento che in casa ci andavo praticamente solo per fare una doccia e dormire.
Lavorare, lavorare, lavorare
La mattina iniziavo a lavorare alle nove per sistemare la spesa, prelevare dalla dispensa ciò di cui avevamo bisogno, pelare e tagliare le patate, pulire e sistemare verdure, carne, pesce. Dovevo supportare il cuoco nella preparazione delle pietanze, per poi verso mezzogiorno iniziare il servizio. Si finiva verso le tre e mezzo, talvolta le quattro. Un paio di ore di pausa per darsi una rinfrescata e riprendere fiato e alle sei e mezzo si ripartiva, fino alle undici. L’orario spezzato ti tiene impegnato tutto il giorno, non hai tempo di fare nulla.
Il fine settimana si finiva minimo a mezzanotte, più spesso all’una. Quando si doveva preparare torte extra menù per compleanni o altre cerimonie, oppure si doveva pulire i frigoriferi, la pausa tra il servizio della mattina e quello serale si assottigliava. Lavoravo 11, 12, talvolta 13 ore al giorno, per uno stipendio doppio rispetto agli standard del sud Italia, ma comunque sottopagato per gli standard tedeschi, considerando la quantità di ore che dovevo lavorare sei giorni su sette.
Dieci anni di vita dedicati al solo lavoro
Ho lavorato a questi ritmi per quasi 10 anni, che sono trascorsi in un batter d’occhio. Ho passato i miei vent’anni, la mia gioventù, ovvero quelli che tanti considerano i migliori anni della vita di una persona, a lavorare come un criceto in gabbia che corre nella ruota. A volte mi prendevano momenti di sconforto, pensavo che avrei dovuto cercare un altro lavoro, senza mai muovermi concretamente. Questo sia perché non avevo tempo per farlo, sia perché alla fine una persona tende ad aggrapparsi alle proprie certezze. Qualcuno penserà che sono stato pavido, ma certe cose bisogna viverle per capirle.
Quanto alle ferie, ogni anno avevo a disposizione un periodo di tre settimane consecutive, e ovviamente le trascorrevo giù in Puglia. Andavo a trovare i miei familiari e gli amici di tutta la vita. Quando vivi all’estero c’è sempre grande curiosità da parte dei paesani di sapere come te la passi, e io decantavo la Germania come se fosse il paradiso dei lavoratori, esaltando la differenza rispetto agli stipendi italiani e mettendo in luce solo gli aspetti positivi. Un po’ come fanno tutti coloro che vivono all’estero, del resto. Ed è così che si creano e si alimentano falsi miti. In tanti mi chiedevano di dargli una mano a trovare lavoro, a trasferirsi in Germania, e mi guardavano con una punta di invidia, ignorando quale fosse il mio reale stile di vita.
Durante quei dieci anni non sono riuscito ad avere una relazione sentimentale stabile, giusto un paio di avventure con delle colleghe cameriere e poco più. Nessuno vuole fidanzarsi con una persona che, di fatto, non ha una vita. Ed i pochi flirt che mi sono capitati sono finiti praticamente sul nascere.
La svolta dopo dieci anni
La svolta è arrivata dopo dieci anni. Non avevo il coraggio di licenziarmi, ma non ne potevo più. Avevo esaurito la pazienza che un lavoratore dipendente deve avere per mantenere saldo il proprio posto di lavoro, ed ero diventato nervoso ed insofferente. Ebbi vari scontri verbali con il proprietario e anche con sua moglie. Mi tolsi qualche sassolino dalla scarpa, e dopo qualche episodio furono loro a chiudere il rapporto di lavoro.
Conclusa questa esperienza ci fu un momento che mi domandavo se era il caso di rientrare in Italia, ma dopo averci trascorso un mese, capii che non c’erano prospettive, e che sarebbe stato un errore. Tornai a Colonia, e mi adoperai per trovare un alloggio – una stanza tutta per me in un appartamento condiviso – e un impiego al di fuori della ristorazione. Negli anni successivi maturai diverse esperienze lavorative, senza mai superare le canoniche quaranta ore settimanali. Avendo finalmente a disposizione del tempo libero mi riappropriai della mia vita, frequentavo una palestra e conobbi la ragazza tedesca che poi è diventata mia moglie. Riuscii a visitare la mitica Oktoberfest, l’Olanda e togliermi altre piccole soddisfazioni che prima mi erano precluse.
La mia situazione attuale
Attualmente da dodici anni lavoro in una industria del settore alimentare, faccio i turni a ciclo continuo e ho tempo da dedicare alla mia famiglia e alle mie passioni. Considero i dieci anni di vita che ho trascorso a lavorare dalla mattina alla notte come anni persi, sotto molti punti di vista. Una porzione della mia esistenza trascorsa rinchiuso in un locale, come se avessi messo in stand-by la mia vita. L’unico aspetto positivo di tale periodo è quello di essere riuscito a mettere da parte un discreto gruzzoletto, che mi ha fatto comodo per dare l’anticipo per l’acquisto di un appartamento. Ma forse sarebbe stato più giusto, a quella età, accumulare meno risparmi e visitare Ibiza, Londra, Riccione, come facevano molti miei coetanei.
Lavoro, vitto e alloggio? Può diventare una trappola…
L’errore è stato quello di attendere dieci anni prima di cambiare, ma vivere certe situazioni in prima persona non è come valutarle dall’esterno. Negli anni mi sono reso conto che dinamiche come la mia sono più comuni di quanto si possa pensare, poiché certe situazioni sono una specie di “trappola“, dalla quale non è facile venire fuori. In primo luogo, quando ti trasferisci all’estero ed entri subito a lavoro, le tue conoscenze sono limitate all’ambito lavorativo, dunque titolare e colleghi diventano anche un punto di riferimento.
Lasciare il lavoro significa ritrovarsi completamente soli. Il fatto che ti forniscano l’alloggio rende tutto più semplice, ma rende più complicato lasciare il posto di lavoro, in quanto oltre ad un nuovo impiego sarà necessario anche trovare una nuova sistemazione. Sarebbe preferibile farsi dare un aiuto economico per pagare l’affitto, piuttosto che farsi mettere a disposizione un alloggio. A questo si somma la paura di non riuscire a trovare un altro lavoro, o di trovare condizioni peggiori. Infine un altro aspetto che mi aveva frenato era la lingua.
Imparare il tedesco lavorando con italiani è difficile
Lavorando e stando a contatto praticamente solo con italiani, ho impiegato molto tempo per imparare il tedesco. Dopo diversi anni che vivevo in Germania ero ancora a un livello molto basico, ma con quegli orari di lavoro era impossibile pensare di frequentare un corso di lingua per stranieri. Per questi motivi cambiare non è facile, e infatti conosco persone che sono rimaste in questo “limbo” anche per venti anni
Cercasi connazionali da spremere come limoni
Sono passati quasi trent’anni da quando sono arrivato in Germania, ma nell’ambito della ristorazione le cose non sono cambiate molto. Senza generalizzare, perché in Germania ci sono molti imprenditori italiani onesti e generosi, ci sono ancora oggi gli approfittatori. Con la scusa di “aiutare i connazionali” cercano giovani disoccupati, spesso del sud, che non trovano lavoro nel loro paese. Più sono disperati dalla mancanza di lavoro e meglio è, così accetteranno senza fiatare qualsiasi condizione, e anziché sentirsi sfruttati, almeno inizialmente, si sentiranno fortunati di avere uno stipendio più alto della media. Del resto se offrissero stipendi e condizioni di lavoro decenti, forse non avrebbero bisogno di importare disoccupati italiani. Potrebbero assumere persone residenti in Germania, nazione popolata da 85 milioni di persone con svariati milioni di stranieri e molti connazionali.
La Germania è una nazione che può dare molto, anche se le cose sono cambiate profondamente anche qui rispetto a quando sono arrivato io. Negli ultimi anni si è verificato un forte aumento del costo della vita non compensato adeguatamente dall’aumento degli stipendi. I lavoratori tedeschi hanno perso potere di acquisto, gli affitti sono diventati molto cari e questo complica moltissimo le cose. Problemi che a quanto vedo, si stanno verificando in molte nazioni. Spero che raccontare la mia esperienza possa essere utile a qualcuno.
Giuseppe P.
Lettera rielaborata da Diario Tenerife. Nei prossimi giorni pubblicheremo anche la storia di un ragazzo che ha lasciato la Germania per trasferirsi alle Canarie: iscrivetevi alla nostra pagina Facebook per restare collegati!