Tra sacro e profano : l’Abbazia di sant’Antimo

Non sarà mai possibile, attraverso la ragione pura, arrivare a qualche verità assoluta.
(Werner Heisenberg)

Non esiste una verità assoluta per quanto riguarda la storia dell’abbazia di Sant’Antimo, ma esistono varie mistiche verità che sono tutte avvolte nel mistero.

Quello che è chiaro e che appare agli occhi di tutti è l’incredibile bellezza non solo della chiesa ma di tutta la struttura.

Siamo arrivati a Sant’Antimo in una tiepida giornata di dicembre. Quest’anno l’inverno proprio non vuole decidere ad arrivare e io e Furia Buia ne approfittiamo per unire i lavori nel centro della toscana, con giornate di lunghi giri nei boschi.

Raramente ci soffermiamo in luoghi frequentati dagli umani, prediligendo sentieri dimenticati dove le impronte delle scarpe sono più come sogni lontani che non ricordi. Più volte nell’ultimo mese, eravamo passati vicino al paesino di Castelnuovo dell’Abate, avevamo intravisto i muri dell’abbazia da lontano, ma mai avevamo avuto il tempo e la voglia di fermarci. Il caso ha voluto che ci trovassimo a lavorare a Castel del Piano, in una delle tradizioni più interessanti e belle dell’Amiata, il presepe vivente. Stanchi, abbiamo spostato il furgone di pochi chilometri, trovando uno spazio nascosto, lungo una strada bianca dimenticata. Al mattino il paesino di Sticciano ci ha dato il benvenuto. Arroccato sul monte davanti a noi, silenzioso, ci ha invitato alla scoperta. Dopo un risveglio e una meritata colazione, siamo ripartiti con l’idea di tornare a casa.

” Furia Buia che dici, chiedo a Google la via?”
” Capo, siamo in queste terre quasi tutti i fine settimana, saprei tornare a casa anche io se tu mi facessi guidare”
Piccata dalla critica al mio terribile senso dell’orientamento, decisi di non mettere nessun navigatore, lasciando che l’epserienza e la curiosità guidassero le nostre scelte.

” Quindi, dimmi esperto marinaio di terra, destra o sinistra?”
” non c’è differenza, la strada è sempre dritta, siamo noi che per incapacità abbiamo bisogno di rallentare e abbiamo inventato le curve”
” Eh no! così non vale Furia! Stai barando! Usare la filosofia esistenziale da bacio perugina o anche da Guru di Facebook è scorretto!”
Tra una risata e una strada sbagliata, assaporando questa finta primavera invernale, il caso ha voluto che ad un tratto, senza nemmeno capire come, ci trovassimo proprio nel parcheggio dell’abbazia di Sant’Antimo.

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E’ vero, noi siamo più da eremi dispersi e dimenticati, ma in quel venerdì di dicembre, non si notavano grandi differenze. Il parcheggio era completamente vuoto. Avevamo incontrato alcuni camper parcheggiati pochi chilometri prima, ma nessun essere vivente aveva incrociato il nostro cammino.

All’abbazia è richiesto il guinzaglio e nonostante il silenzio del luogo, ne abbiamo rispettato la sacralità, legandoci l’uno all’altra.

Prima di fermarmi a contemplare la grandiosità della costruzione, abbiamo fatto un giretto, per vedere la piccola e antica farmacia. L’odore delle spezie e delle erbe, usciva dalla porta e il colore delle spezie riempiva gli scaffali, creando un senso di antichità.

Due mostri, i volti rivolti verso il basso, come a cercare l’avventore che si sta per avvicinare all’entrata della chiesa. Un monito. Un avvertimento. Gli occhi divertiti, non minacciosi, ma curiosi, che più che intimidire sembrano chiedere.

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Ci siamo affacciati all’entrata. Un respiro. La grandiosità in un colpo d’occhio. Anni di storia, di arte, tutti racchiusi all’interno dei nostri piccoli occhi. Come riusciranno a trattenere tanta grandezza?
Ci sediamo entrambi, sopraffatti per un attimo. Reagisco scattando una foto. La guardo e penso che nulla di quello che sto vedendo riesce veramente a venire impresso in quell’aggromerato di linee e curve.

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Ci allontaniamo storditi da tanta bellezza.

In lontananza vediamo un cartello che indica un sentiero : “il sentiero dell’abate”.

Senza nemmeno pensare iniziamo a camminare e sembra quasi di tornare ai nostri tempi e alla realtà.

L’abbazia vista dal dietro, lungo il semplice sentiero fangoso, ha  un fascino unico, toglie il fiato, ma lascia respirare e sopratutto lascia lo spazio alla fantasia. Come mai questo simpatico sentiero si chiama sentiero dell’abate?
Come spesso succede non ci sono tracce riconducibili a una storia vera, pertando immagino che la semplice e possibile verità sia che questa è la strada nel bosco per arrivare al paese di Castelnuovo dell’Abate.
Affondo gli scarponi nel fango e per un attimo vedo svolazzare una tunica. Immagino l’abate, forse proprio in una giornata di dicembre, una di quelle mattine fredde, dove la brina fa sembrare che sia nevicato. Immagino i suoi passi silenziosi e immagino il suo sguardo, verso il sentiero, per fare attenzione alle pietre sconnesse e ai ristagni di acqua. Scorgo la sua tunica, è bagnata e per osmosi, l’acqua ha bagnato quasi venti centimentri di orlo. Piccole macchie di fango colorano la stoffa. Dovrà andare a trovare qualche anziana signora, come Honestus? Forse dovrà portare delle erbe, preparate nella piccola farmacia dell’abbazia per una malato o semplicemente sta cercando il tempo del cuore, quello che si trova ascoltando il suono dei passi che camminano nei boschi a ritmo del cuore.

Il sentiero è ad anello, inizia nel bosco dietro l’abbazia di sant’Antimo, arriva a Castelnuovo dell’Abate, fa un giretto nel piccolo paese e torna indietro fino al parcheggio dell’abbazia di sant’Antimo attraverso la via principale.

E’ un sentiero facile, adatto a tutti, perfetto anche se c’è un po’ di fango, ottimo per una giornata troppo fredda o troppo calda. Perfetto per camminare nè troppo nè troppo poco. E’ proprio una passaggiata gradevole.

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Non sapremo mai perché chiama così, ma questo non è l’unico mistero. A ben vedere non si sa nemmeno di preciso a chi sia intitolata l’abbazia.

Due sono i Sant’Antimo che potrebbero aver dato origine a questo nome.

Antimo il sacerdote

La leggenda del sacerdote Antimo, narra che costui venne imprigionato sotto Diocleziano e Massimiano. Uomo di grande fede riuscì a guarire e convertire Pinianus, che poi, proprio grazie a questa nuova fede, diventò un protettore dei cristiani, che difese e nascoste durante le persecuzioni. Convertì anche un dio silvano e tutta la sua famiglia, ma questa cosa gli costò un volo nel Tevere con una pietra al collo. Ne uscì miracolosamente incolume. Vista la sua ritrosia alla morte, il console Prisco, nel 305 lo fece decapitare e venne sepolto sotto l’oratorio dove era solito pregare. La leggenda non è ancora finita, infatti, si narra che nel 781, papa Adriano, abbia consegnato a Carlo Magno parte delle reliquie del sacerdote, oramai santo Antimo, che erano conservate a Napoli, per la costruzione dell’abbazia toscana.

Antimo il diacono aretino

La leggenda narra che un giorno, mentre Antimo insieme con San Donato, stavano celebrando la messa, un gruppo di pagani fosse entrato in chiesa proprio nel momento dell’eucarestia. Donato aveva in mano un calice di vetro, che venne preso e scaraventato in terra andando in frantumi. Recuperati tutti i pezzi, Donato continuò a servire l’eucarestia, anche se, sul fondo del bicchiere, mancava un pezzo, ma nemmeno una goccia di vino venne sprecata e cadde dal calice. Lo stupore fu tanto, che i pagani decisero di convertirsi. Come spesso capitava in quei tempi, a un miracolo spesso seguiva un arresto e ecco che san Donato e un gruppo di cristiani vengono arrestati e uccisi, mentre libri e arredi liturgici venivano distrutti. L’altro compagno martirizzato fu proprio Antimo, al quale venne poi dedicata l’abbazia.

E’ a questo punto che la storia si fa ingarbugliata o forse dovrei dire che si fa “toscana”. Nessuna leggenda che si rispetti in toscana può semplicemente seguire le tracce di martiri e calici miracolosi, ma deve per forza trovare anche una spiegazione feerica.

Inspiegabile questa fusione tra paganesimo e cristianesimo, ma nessuna leggenda toscana che si rispetti può semplicemente venir raccontata con i miracoli, senza scomodare anche una piccola legione di fate e folletti e l’abbazia di Sant’Antimo non fa eccezione.

L’abbazia di Sant’Antimo e le fate

Era una notte di primavera. La luna piena, illuminava la notte come il giorno. Gli esseri umani dormivano oramai da alcune ore, per riposarsi delle fatiche dei campi, che a breve li aspettavano per una nuova giornata di lavoro. Quello che successe non è dato sapersi, io vi racconterò una verità, ma dubito che sia quella vera. Finaldo, detto il gobbo, camminava insonne tra i boschi canticchiando una canzonaccia che prendeva in giro le fate e i folletti del bosco. Artesia, che non era conosciuta per avere un gran bel carattere, pur essendo una fata, gli si parò davanti in tutto il suo splendore e lo affrontò :

” e quindi secondo te Finaldo, noi siamo delle scansafatiche che l’unica cosa che sappiamo fare è pettinarci i capelli a vicenda?”

chiese burbera Artesia.

Finaldo sobbalzò sorpreso. Mai aveva visto donna più bella e allo stesso tempo arrogante e indispettita.

“Mi scusi, non avevo capito che parlava con me, nessuno mi chiama Finaldo, io sono il gobbo. Non per offenderla bella signora, ma non esistono storie che raccontino le vostre opere, voi siete solo in grado di essere belle e Dio solo sa quanto lei sia davvero bella, ma la bellezza alla fine è inutile”.

“Quindi secondo te Gobbo la bellezza è inutile? i dipinti, le statue, sono solo pezzi di legno o di marmo, frutti spremuti su pezzi di stoffa, che a nulla servono se non a prendere polvere o a arrotolare gli stinchi di maiale?”

Continuò sprezzante Artesia. Finaldo però non si perse d’animo e tenne testa alla fata.

” Bella signora, le vostre teste sono fatte per le corone, non per portare i cesti e le vostre mani sono troppo delicate per fare qualsivoglia lavoro. Voi siete bella, ma in quanto bella, siete assolutamente inutile”

Le parole di Finaldo fecero arrossire di rabbia Artesia

“Quindi secondo te Gobbo è inutile che noi si colorino le foglie con i colori dell’autuno o della primavera? che si disegnino i frutti? che si stacchino ad una ad una le foglie per farle cadere per l’inverno? Quindi secondo te Gobbo, noi, siccome siamo belle non siamo in grado di lavorare?”

“Signora bella, questo di cui mi parla non è un lavoro, questo è quello che fanno le dame. Colorano, disegnano, rammendano e cantano le canzoni, mentre gli uomini faticano spostando i massi che rompono l’aratro e spaccandosi la schiena trasportando il grano. Gli uomini sono utili, le donne sono belle e voi tra tutte le donne siete sicuramente la più bella”.

Non capendo se quello che Finaldo stava dicendo fosse un complimento o un’offesa Artesia si sentiva sempre più arrabbiata e offesa. Finaldo, dal canto suo, pensava di star facendo anche un bel lavoro di corteggiamento dicendo a quella donna bellissima quanto fosse bella, ma forse l’ignoranza aveva fatto sì che la scelta della parole non fosse proprio azzeccata e più Finaldo tentava di dirle quanto la trovava bella e più Artesia si arrabbiava.

“Ora basta – sbottò Artesia- ti dimostrerò che sbagli! questa notte noi costruiremo la più bella chiesa che l’essere umano abbia mai visto! e lo faremo in una sola notte”

Finaldo non fece in tempo a ribattere che uno squadrone di fate, tutte bellissime, iniziarono a volteggiare intorno a lui. Il loro chiacchiericcio era una musica celestiale e le loro vesti, muovendosi, erano come una danza. Con le colonne sulla testa e una pietra per dita, sollevata come se fosse vuota, le fate iniziarono a lavorare.

Al mattino, un raggio di sole illuminò la vallata e la costruzione, bellissima e unica, apparve in tutto il suo splendore.

Finaldo non sapeva proprio cosa dire, non aveva parole, gli occhi luccicavano commossi davanti a tanta bellezza e sentiva il cuore esplodergli nel petto.

“E quindi, Gobbo, la bellezza è utile oppure no? siamo o no in grado di fare le cose anche se siamo belle?” lo sfidò Artesia.

” Signora bella, io credo che la mia ignoranza non abbia fatto in modo che io riuscissi a spiegarle quanto è bella la bellezza. Solo essere belli è già una cosa utile, è questo quello che volevo dire. Quello che stavo cercando di dirle è che non avevo dubbi che un essere bello come lei avrebbe creato qualsiasi cosa di bellissimo, che solo il gesto di pettinarsi i capelli, per uno come me è come se il sole lo scaldasse da dentro. Io non le conosco le parole, ma che ho il tamburo dentro al petto che mi batte forte forte da quando l’ho vista lo so e che quello che avete fatto è la cosa più bella che mai potrò vedere lo capisco anche se non riesco a dirlo come lo sente il mio cuore e come lo vedono i miei occhi”.

Fu allora che Artesia si rese conto che aveva mal giudicato Finaldo. Averlo visto nel bosco, vestito di stracci, di notte, cantando canzonacce, non le avevo permesso di capire veramente quello che le stava cercando di dire.

” Scusa Finaldo, credo di aver frainteso le tue parole. Per scusarmi ti farò un regalo, chiedi qualsiasi cosa e io farò il possibile per esaudire il tuo desiderio.”

Finaldo la guardò in silenzio.

” Vorrei rimanere qua a guardare voi e questa bellissima abbazia, per sempre.” Chiese sicuro il Gobbo. ” Vorrei che mi trasformassi in un cipresso, che è un albero bellissimo. Io sono sempre stato brutto, con questa gobba, nessuno mi chiama con il mio nome, io in paese sono solo il Gobbo. Vorrei rimanere con voi, diventare la vostra casa, il vostro riparo. Vorrei essere bellissimo e utile e rimanere con voi per sempre”.

Quando il secondo raggio di sole raggiunse la vallata, proprio accanto all’abbazia di Sant’Antimo, le radici di un bellissimo cipresso affondarono nella terra e diventarono la casa delle fate.

Quel cipresso è ancora lì, che si nutre della bellezza dell’abbazia di Sant’Antimo. Si narra che un giorno, quando Carlo Magno passò dall’abbazia di Sant’Antimo per fondare quella che poi prese il nome di cappella Carolingia, vedendo quel cipresso secolare, decise di straiarsi sotto i suoi rami per riposarsi.

info pratiche

L’abbazia di sant’Antimo si trova vicino a Castelnuovo dell’ Abate a pochi chilometri da Montalcino.

Organizzano corsi e hanno una fervente attività spirituale, se volete tutte le informazioni e volete scoprire tutti isegreti dell’abbazia potete andare sul loro sito : abbazia di sant’Antimo.

E’ possibile acquistare anche prodotti on line. Dalle creme per il corpo, alle tisane, lo shop è fornitissimo e ha tutti prodotti naturali e autoprodotti.

Per informazioni e prenotazioni:

Telefono: +39 0577/286300
Mail: antimo@operalaboratori.com

 

Trekking “Il sentiero dell’Abate”

Punto di partenza : Abbazia di Sant’Antimo

Punto di arrivo : Abbazia di Sant’Antimo

Lunghezza sentiero : 8 chilometri (circa)

Zona attraversate : Valle di sant’Antimo

Punti di interesse : Abbazia di Sant’Antimo; Castelnuovo dell’Abate; Montalcino (nelle vicinanze).

Difficoltà percorso :  T

Descrizione :

Lasciati i mezzi nel parcheggio presso l’Abbazia (318 mslm),si prende il sentiero che si snoda perpendicolarmente alla sua sinistra, salendo in leggere ma decisa salita verso Villa a Tolli (532 mslm). Abbiamo raggiunto la metà del percorso. Volgiamo quindi verso Ventolaio e Poggio D’arna (583 mslm) e massima altezza della giornata. Il percorso riporta una ripida discesa da Poggio d’Arna. La discesa è difficoltosa e occorre molta attenzione. In alternativa noi vi suggeriamo di procedere dopo Ventolaio rimanendo sempre sulla stradella bianca che con un ampio giro vi conduce a Colombaiolo riportandovi per breve tratto sulla strada percorsa all’andata. In entrambi i casi si ha una magnifica vista sulla valle e sull’Abbazia dall’alto.

Link utili -> Percorso Cai

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Consiglio dell’esploratore

La verità nascosta nei luoghi, si trova nascosta
nel tempo in cui si racconta il silenzio

 

 

 

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