“Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;e caddi come l’uom cui sonno piglia.”
Dante “La divina commedia- Inferno”
Trekking ad anello che tocca oltre lo storico canale del Granduca, anche i due eremi di Lecceto e San Leonardo al Lago. E’ situato vicinissimo a Pian del Lago, vicino a Siena. Le info e i dettagli tecnici del percorso, come sempre li trovate alla fine dell’articolo.
E’ passato un anno esatto da quando trovai questo trekking incredibile, ma mi era proprio impossibile raccontare questi fatti fino ad oggi.
Il caldo attanagliava un’estate a singhiozzo tra covid e mascherine, tra si può e non si può, tra lavoro e date annullate.
Das tripode viveva la sua vita felice e ogni giorno io e Furia Buia godevamo della sua rumorosa e simpatica presenza, ma sapevamo benissimo che il tempo per noi stava scadendo. Non che si vedesse qualche cedimento nell’eroico tripode, anzi. La sua foto fiera su una rotoballa conquistata con caparbietà e fatica aveva fatto il giro del web. Qualche cosa però dentro di me era come un ticchettio. Il nostro tempo a dire la verità era già scaduto.
Operato il 28 dicembre, gli erano stati dati circa tre mesi di vita. Per fortuna si erano sbagliati e ad agosto eravamo ancora insieme più curiosi che mai. Guardavo dentro gli occhi di Furia Buia e sapevamo entrambi che questo non poteva durare ancora per molto. Un passo in casa, un alito di vento e un post-it che prova le brezza del volo e mi cade gentilmente in mano ” fare un ultimo cammino con Das”. Era un promemoria scritto prima dell’operazione, quando ancora sembrava tutto possibile. Sorrido e una voce dentro di me sussurra ” è impossibile, lo sai.”
Era vero.
Non sempre si vince e per quanto la nostra apparenza si rivelasse forte e felice, sapevo benissimo che alcune cose non erano più possibili. Decido di muovermi verso terre conosciute, un giro al masso delle fanciulle, una birra al birrificio “fumi di birra” a Sasso Pisano e poi in silenzio a guardare la luna dalla portiera aperta del furgone con Das felice accanto e Furia Buia poco lontano. Mi arriva un messaggio, guardo, rispondo e prima di riappoggiare il cellulare nel buio mi viene voglia di cercare.
I criteri erano facili, un percorso breve, con poca salita, possibilmente con dell’acqua.
Non c’era niente di simile nei dintorni a dove eravamo parcheggiati.
Continuo a cercare “Anello canale del Granduca”. Distanza: 10,33 km, dislivello: 160 metri, difficoltà: facile, tempo totale: 3 h e 25 min.Attraversa un pezzo di via Francigena.
Mi illumino di soddisfazione!
“Alla fine pare che un pezzo di un cammino ci venga concesso amico mio!” dico al tripode.
Non mi soffermo più di tanto sui particolari del trekking, ma sulla carta mi sembra perfetto e pertanto decidiamo all’unanimità di partire.
Non ci mettiamo molto ad arrivare davanti alla grande porta che conduce all’oscurità. Controllo per vedere se la direzione è giusta.
“Ragazzi, dice che si deve entrare” Sussurro agli amici quadrupedi.
Nessuno sembrava particolarmente felice di inoltrarsi dentro uno scormatore alto quanto me e immerso nell’oscurità.
Anni di Dangeons and Dragons e una simpatica aracnofobia che con gli anni non sono mai riuscita a placare tiravano ogni cellula del mio corpo nella direzione opposta, ma la curiosità è una forza talmente grande che senza nemmeno accorgermene ero nel buio con la mia piccola torcia da testa.
Dopo pochi minuti eravamo immersi nella più totale oscurità, la porta d’entrata era un lontano ricordo di luce. Un rigolo d’acqua e un leggero filo di fango accompagnavano i nostri passi rendendo scivoloso il cammino in un equilibrio delicato sia fisico che mentale.
La temparatura fresca rendeva piacevole camminare nel buio e pensieri, creazioni e mostri si disegnavano dalla mia mente.
Un grosso buco sul soffitto con la memoria di un filo di luce e poi di nuovo oscurità.
Das e Furia Buia reagivano bene nonostante il buio, ad un certo punto mi assale il dubbio di aver sbagliato. Continuavamo a camminare da molti minuti e non si vedevano luci di uscita.
” Che dite ragazzi, forse è meglio se controllo un attimo il cellulare e capiamo meglio dove stiamo andando?”
Questa strana malattia moderna di non leggere mai tutto! Credo sia come quando non vuoi leggere le istruzioni perché sicuramente sai costruire l’ultimo mobile dell’ikea e dopo due ore sei ancora immerso nel caos. Colpisce di più gli uomini, ma ne sono affette anche molte donne come si evince da questo particolare caso. Accendo il cell e scopro che come era prevedibile, le onde di internet non riuscivano a raggiungermi laggiù in basso e nell’oscurità.
Comincio a disegnare finali catastrofici.
Immagino una grata alla fine del tunnel o un cancello, insomma l’impossibilità di uscire alla luce, vedo nella mia mente il tunnel rimpicciolirsi sempre di più e mi immagino camminare come un marines a carponi nel fango con Das e Furia Buia accanto accigliati e contrariati. Pochi passi prima dell’ennesimo buco nel soffitto immagino una gigantesca ragnatela con un ragno da far concorrenza a Aragog e mi immagino a cercare di convincerlo che sono molto amica di Hagrid e che pertanto non mi deve mangiare.
Salto il piccolo cerchio di luce senza guardare verso l’alto.
La fantasia è molto utile quando stai scrivendo un racconto o quando devi raccontare una favola a un bambino, ma dentro a uno scormatore buio, umido e fangoso, può non essere la migliore alleata.
Mi faccio coraggio e continuo a camminare, in fin dei conti Das e Furia sono tranquilli, fintanto che loro sono tranquilli non corro pericolo.
Armata della mia piccola certezza sulle capacità sovrannaturali dei mie compagni di viaggio, vedo ad un certo punto raggiungermi di corsa Furia Buia. Stringo gli occhi per guardare in avanti e cercare tracce di quello che può aver spaventato il mio giovane amico. Intravedo solo Das che tranquillo beve dal rigolo centrale del tunnel.
Furia Buia mi si ferma accanto, il corpo rigido, leggermente proteso in avanti, lo sguardo lontano alle mie spalle.
Penso che effettivamente è proprio un bel cane e mi viene da ridere perché so benissimo che la verità è che non voglio vedere quello che sta succedendo davvero.
Furia Buia non cede di un millimetro, lo sguardo dietro di me e il corpo teso. Gli occhi leggermente stretti per cercare di mettere a fuoco nell’oscurità.
” Se senti un rumore di zoccoli è più probabile sia un cavallo che non una zebra” mi ripeto mentalmente scaccianto immagini di troll e goblin incazzati che stanno per aggredirmi. ” …a meno che tu non sia in Africa, allora forse è una zebra” mi sussurra la mia mente che mando prontamente a quel paese, ricordandogli l’inutilità di questi pensieri in quel momento.
Razionalizza Decibel! Razionalizza!
Nel mentre Furia Buia non si muove di un millimetro. Vedo nell’oscurità, come una piccola finestra bianca, il canino di Furia Buia che lentamente si scopre, pronto a colpire non so bene cosa.
Colpire, ok, colpire. Qua fa fresco. Forse un animale è entrato per cercare acqua e refrigerio. Quali animali ci possono essere da poter spaventare Furia? Alla peggio un lupo, evitiamo di pensare che possa essere un branco, ma anche Das si sarebbe dovuto allertare. Bho, magari è invecchiato davvero. Oppure un cinghiale. Speriamo sia piccolo. Una volpe, quindi alla peggio possiamo beccare la rabbia.
La mia mente, dopo che era prontamente rientrata dal mondo della fantasia, ha iniziato a pruderre una serie di scenari reali e possibili con relative soluzioni e possibilità.
“Potrei scappare…”
Dentro uno scormatore con l’acqua e il fango sul pavimento e senza sapere dove finirà? No. Questa la escludiamo.
Mi devo girare e devo assolutamente vedere cosa sta spaventando Furia Buia. Mi sfilo lentamente lo zaino.
Sento un leggero, basso e profondo ringhio venire da Furia Buia. A circa cinque centimentri dalla mia gamba destra. Riesco a sentirlo vibrare.
Mi metto lo zaino davanti come un moderno scudo, guardo Furia ” tranquillo amico, ce la posso fare, non scappiamo, mi giro e si combatte, qualunque cosa ci sia. Insieme!”
Un respiro.
Pressione sulla gamba destra, roteo lentamente, decisa, ma senza scatti bruschi.
Chiudo leggermente gli occhi e in quell’attimo la mia mente si sfoga in tutta la pienezza della sue espressione fantastica e in un attimo vengo attraversata da troll, goblin, ragni, elfi, giganti e perfino un drago mi sfiora leggermente i capelli e subito dopo, il buio.
Respiro e uno sbuffo di fumo e acqua si disegna davanti a me.
Buio.
Respiro e illumino il più possibile da dove siamo venuti.
Buio.
Respiro e aspetto ancora in silenzio.
Buio.
Guardo verso il basso. Furia Buia si rilassa. Smette di ringhiare. Ci guardiamo.
” Cazzo Furia non c’è niente là!”
Furia scondinzola.
” No aspetta mi hai appena fatto perdere quindici anni di vita! cosa sentivi? non c’è niente laggiù!”
Mi abbasso, ci abbracciamo e respiriamo insieme. Io e lui. Soli.
Sento le lacrime calde bagnare il mio viso. Furia mi guarda, sembra sorridere, mi lecca le lacrime con la delicatezza che solo i cani sanno avere in questi momenti.
” Ho capito Furia, ho capito. Hai ragione. Lo so che mi guardi le spalle. Ho capito che tra poco saremo io e te e ho capito che ce la caveremo, anche se fa un male tremendo anche solo pensarlo, ma ho capito.”
Mi alzo e illumino la strada davanti a noi. Das è tranquillo che ci guarda e sorride. Si avvicina e comincia a camminare di nuovo con noi.
Superiamo la volta delle mille luci, un luogo magico dove le piccole gocce d’acqua sul soffitto sembrano essere mille stelle in una notte senza luna. Attraversiamo i rami di pietra bianca, la vita della roccia che grazie all’acqua diventa stallattite e stallagmite e mi fa capire quanta vita ci sia in quel posto buio. L’aria lentamente diventa più calda, falene e grossi grilli popolano le pareti.
Una luce.
Il tunnel è finito, l’aria calda ci avvolge piacevole. Il verde illumina colori di vita e la luce rende tutto a nuova vita.
2.2 km di buio che diventano luce.
Continuiamo a camminare in silenzio. Attraversiamo un bosco molto bello e raggiungiamo l’eremo di Lecceto che è ancora abitato e l’eremo di San Leonardo al Lago.
Ci fermiamo a mangiare. Das è soddisfatto e felice, Furia Buia è leggermente teso come me. Abbiamo entrambi paura del futuro, un futuro che sappiamo imminente, ma come nel caso dello scormatore, non è possibile più tornare indietro. Anche se è buio si può solo continuare.
Das si prende gioco di noi fino a che non arriviamo alla macchina, con quel suo modo meraviglioso si ridere della vita e di sdrammatizzare la morte.
Sale sul sedile e mi lecca la faccia: ” ricordati sempre amica mia: moriremo tutti di morte violenta!!! quini andiamooooooooooooooooo!!! non farti fermare dalla paura di morire, la paura di vivere è l’unico modo che abbiamo per sprecare questa grande opportunità di giocare in questo mondo bellissimo. Io ci sarò sempre, tu guarda le nuvole, il cielo, la terra, i fiumi. Tu guarda la vita e lì mi troverai ogni giorno!”
” Sai Das che per fortuna che sei buffo, altrimenti saresti un guru vecchio e noioso!”
Sorridiamo.
“Ora che te ne stai per andare posso svelare il tuo segreto ai nostri lettori?”
“Si. Ora puoi.”
Das se n’è andato un venerdì notte di venti giorni dopo. Era halloween.
Tra qualche giorno torneremo esattamente a quel momento e come promesso, oggi posso svelare il suo segreto.
Das non si chiamava Das, ma Pongo
.
I motivi sono molteplici, sicuramente perché con quel nome gli auguravo di essere duttile e malleabile, cosa che non è mai stato, ma l’ho amato anche per quello. Questo però non è un racconto per raccontarvi la sua morte, che è stata perfettamente mirabilante come la sua vita, ma solo per raccontarvi il nostro ultimo trekking insieme, il nostro ultimo pezzo di cammino.
E’ un trekking bellissimo, che merita di essere fatto, vissuto, assaporato.
La storia del canale del Granduca
Il Canale del Granduca fu costruito per prosciugare le acque del Pian del Lago che d’inverno vi stagnavano per 156 ettari per un’altezza di 5 braccia senesi (tre metri) e che nei periodi di siccità formavano un perenne lago di 93 ettari che dava il nome a tutto il piano. L’estendersi ed il ritirarsi delle acque faceva continuamente imputridire sostanze organiche, erbe e insetti, tanto da rendere, specialmente in estate, insalubri i dintorni. Per questo motivo i frati dei conventi di S. Leonardo e di Belriguardo si trasfervano nel convento di Pontignano, nella calda stagione, per tornare d’inverno ai rispettivi conventi.
Anche tutti i terreni limitrofi distanti dal lago rimanevano incolti e abbandonati, non potendo viverci gli agricoltori che si ammalavano. La malattia desolava fino al convento degli Agostiniani a Lecceto, e fino alle località di Celsa, S. Colomba, Fungaia, Fornacelle, Chiocciola, Abbadia a Quarto. Il “Canale” fu soprattutto opera del gentiluomo senese Francesco Sergardi Bindi che nell’impresa di prosciugamento del piano – considerata una pazzia dai contemporanei – dilapidò il proprio patrimonio, 37.000 scudi.
I lavori per la costruzione del canale scolmatore sortterraneo il cui imbocco fu individuato nel piano fra i poderi Casalino ed Osteriaccia e il termine sul torrente Rigo da cui le acque sarebbero confluite nel Serpenna, nel Rosia, e quindi nel fiume Merse, furono difficoltosi e lunghi. In effetti iniziarono nel 1766 finendo nel 1774 soltanto; per avere ragione del calcare durissimo furono usate 18.577 libbre di polvere e più volte i lavori furono interrotti a causa delle contestazioni riguardo i confini da parte degli altri proprietari dei fondi a causa di inondazioni del piano dovute alle piogge (disastrosa quella del 21 dicembre 1770).
La qualità dell’opera non proprio ineccepibile che rendeva poco soddisfacente lo smaltimento delle acque del canale maestro e dei vari fossi del lago fu oggetto di rimostranze da parte dei vari proprietari che si rivolsero al Granduca Leopoldo I° data l’impossibilità finanziaria del Bindi ad apportare le necessarie migliorie.
Il Granduca “illuminato”, che proprio in quegli anni portava avanti una politica incentrata sui miglioramenti delle condizioni di vita dei contadini e sul recupero dei terreni paludosi in tutto il suo Stato, fece allungare il canale di 197 metri (portandolo quindi a 2.173 metri), lo dotò di spallette a volta di mattoni, sbasando e lastricando il fondo. Purtroppo, mentre rimane traccia ben visibile – con la guglia di marmo sopra l’incile – dell’intervento del Granduca, che si assunse tutto il merito dell’impresa, pressoché nulla è rimasto dell’opera meritoria del nobile senese. Fatto sta che agli inizi del 1781 l’opera poteva dirsi definitivamente conclusa e come tale fu consegnata al Collegio di Balìa da parte dell’Ingegner Bernardino Fantastici, assistente del Direttore dei Lavori, il matematico Pietro Ferroni e del tesoriere Cosimo Cennini, nominato dalla stessa Balia (…)
Tratto da “A pesca in Pian del Lago” di Ermanno Vigni – IL CARROCCIO n° 47, Settembre/Ottobre 1993.
L’eremo di Lecceto
Lecceto nasce a partire da un gruppo di eremiti che scelsero questa selva – covo di briganti – per farne un covo di santità: questa è una delle possibili traduzioni del motto di Lecceto: Ilicetum vetus sanctitatis Illicium. Si insediano nella selva di Foltignano (o Selva del Lago) nel XII sec. vivendo in grotte tufacee, e nel 1228 consacrano la loro piccola chiesa, primo nucleo della vita comune e di questo Eremo.
Questo gruppo di uomini in ricerca di Dio sceglie per sé la Regola di S. Agostino, ed è storicamente all’inizio dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino fondato dalla Sede Apostolica con due bolle del 1244 e 1256.
I secoli Quattordicesimo e Quindicesimo videro il massimo splendore dell’Eremo di Lecceto.
Fioritura non tanto e non solo architettonica/artistica ma di vita di santità, come suggerisce l’altra possibile traduzione del motto Antico Lecceto, attrattiva di santità. Di questa abbiamo tesimonianza da una Raccolta di Esempi di alcuni beati leccetani, gli Assempri, scritta dal priore di Lecceto Filippo degli Agazzari (1398 – 1422) e dal dipinto di un Albero dei Beati di Lecceto (foto a lato).
Santa Caterina da Siena conosceva e frequentava questo luogo ed era legata da profonda amicizia con alcuni frati leccetani, in particolare con l’inglese William Fleete il quale, per diversi anni, fu suo padre spirituale. La presenza di Frati Agostiniani è stata ininterrotta fino alle soppressioni dell’inizio dell’ ‘800.
Dopo le soppressioni napoleoniche l’Eremo fu abbandonato e depredato.Nel 1816 l’Eremo fu riscattato dal Seminario arcivescovile di Siena, e fu residenza estiva dei seminaristi fino al 1940.
Fu poi nuovamente abbandonato. Negli anni ’40 fu abitato per un breve periodo da un singolare “eremita”: don Martino, in arte Idilio d’Ellera, sacerdote della Diocesi e poeta raffinato, che ha cantato in diverse liriche l’aspra bellezza di questa selva.
Un gruppo di coraggiose pioniere si trasferì qui negli anni ’70 da Siena.
Erano anziane anagraficamente, ma seppero una novità insperata.
Furono aiutate da molti attraverso molte difficoltà.
Nel 1979 arrivò la prima giovane, e dopo di lei molte altre.
La rifioritura anche carismatica dell’Eremo è dovuta in larga parte alla figura di M. Alessandra (Anna Maria) Macajone che è stata Superiora della Comunità dal 1989 al 2005, anno della sua improvvisa scomparsa. I suoi resti riposano oggi nella chiesa dell’Eremo.
Tratto dal sito web storia dell’Eremo di Lecceto
L’Eremo di San Leonardo al Lago
L’eremo di San Leonardo al Lago è un edificio religioso situato nei pressi di Santa Colomba, nel comune di Monteriggioni, in provincia di Siena, arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino.
Il santo titolare è Leonardo del Limosino, eremita molto venerato nel medioevo europeo e celebrato per il forte legame con la natura, in particolare alberi e boschi (festa principale 6 novembre).
Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Toscana, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. Nel 2016 ha fatto registrare 2 852 visitatori. L’ingresso è gratuito.
L’eremo agostiniano, documentato dal 1119, sorse presso il lago Verano, bonificato nella seconda metà del XVIII secolo.
La chiesa e i locali furono ricostruiti tra il XIII secolo e il XIV secolo, riutilizzando il lato destro dell’antica costruzione in uno stile di transizione tra romanico e gotico. Nel 1366 l’intero complesso monastico fu fortificato.
Nella facciata della chiesa si apre il portale strombato con l’arco a tutto sesto.
L’interno è diviso in tre campate coperte con volta a crociera. La chiesa è stata oggetto di pesanti interventi decorativi di gusto neogotico: tuttavia, nella zona absidale si conservano affreschi di Lippo Vanni, raffiguranti Storie della vita della Vergine, angeli e santi, databili tra il 1360 e il 1370.
Nell’ex refettorio, uno dei capolavori della pittura senese del Quattrocento: un frammentario ma pregevolissimo affresco con la Crocifissione, opera di Giovanni di Paolo del Grazia, realizzato intorno al 1445.
Testo tratto da Wikipedia
L’itinerario
Cari esploratori vi metto il link del percorso che abbiamo seguito noi su Wikiloc. E’ fatto bene e per noi è stato facile da seguire.
LINK ITINERARIO
MAPPA ( che trovate navigabile nel Link sopra )
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Consiglio dell’Esploratore
E’ nella notte più buia che si vedono più stelle
A Pongo ( Das ). Ci manchi. Oggi come un anno fa. Mi manca la tua anima e mi mancherà sempre.
GALLERIA FOTOGRAFICA