Homo homini lupus – il museo della tortura

Lupus est homo homini

Plauto, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 4957

 

Marco Ezechia Lombroso, è stato il padre più o meno discusso della criminologia. La sua teoria era che alcune caratteristiche fisiche, unite con situazioni sociali, avrebbero determinato la possibilità di un essere umano di diventare o meno un assassino. Le caratteristiche che aveva individuato come indicatori di un animo o pazzoide o criminale erano quelle che lui chiamava caratteri atavici ed erano definiti come :

I caratteri che manifestano l’atavismo e la degenerazione sarebbero esplicitati fisicamente dalla presenza di caratteristiche quali le grandi mandibole, i canini forti, gli incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, i denti soprannumerari o in doppia fila (come nei serpenti), gli zigomi sporgenti, le prominenti arcate sopraccigliari, l’apertura degli arti superiori di lunghezza superiore alla statura dell’individuo, i piedi prensili, la borsa guanciale, il naso schiacciato, il prognatismo, le ossa del cranio in soprannumero (come negli Incas, nei Peruviani e nei Papua) ed altre anomalie fisiche e scheletriche nonché caratteri funzionali diversi da quelli dell’uomo evoluto; ad esempio una minore sensibilità al dolore, una più rapida guaribilità, maggiore accuratezza visiva e dicromatopsia ed anche tatuaggi ed accentuata pigrizia. ( Wikypedia, Cesare Lombroso )

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Museo Lambroso foto by Elisabetta Esposito

Le teorie di Lambroso sono state confutate e si è visto che non vi è una reale corrispondenza tra caratteri atavici e/o fisici e criminalità. Dopo Lambroso sono nati molteplici studi incentrati sul capire cosa spingesse un essere umano a compiere atti violenti. L’epigenetica ,ad esempio, studia l’interazione fra geni e caratteristiche dell’ambiente che possono stimolare o meno lo sviluppo di comportamenti antisociali o prosociali.

A tutt’oggi si studia per cercare di capire il lato più oscuro dell’essere umano, una ricerca che anche se non in maniera scientifica, prima o poi nella vita, tutti si trovano in un qualche modo ad affrontare.Vi sono particolari periodi storici, dove l’essere umano ha dato sfoggia del suo lato oscuro; dal periodo romano al nazismo, passando per tutto il medioevo, c’è l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda la brutalità e la violenza. Soffermandoci sul medioevo, si può notare quanto l’intelletto si sia trasformato in violenza. Le tecniche di tortura hanno raggiunto apici disastrosi e l’inquisizione si è macchiata, sotto il nome della giustizia, di assassinii efferati, spesso a danno di innocenti.

Nel 1185, papa Lucio III insieme con l’imperatore Federico Barbarossa, durante il concilio di Verona, costituiscono Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem , che altro non è che l’inquisizione. Fu successivamente Innocenzo IV a rendere legale la tortura e Giovanni XXII estese l’inquisizione alla stregoneria. Si pensa che l’inquisizione finisca con la fine del medioevo, indubbiamente i temi e le metodologie hanno subito un profondo cambiamento, ma di fatto è solo nel XIX secolo che si ha l’abolizione dei tribunali dell’inquisizione, fatta eccezione per lo stato pontificio. Nel 1908 gli venne cambiato nome prima in «Sacra Congregazione del santo Offizio» e successivamente nel 1965 in «Congregazione per la dottrina della fede». Dietro il nome dell’inquisizione si sono nascosti i lati più oscuri dell’essere umano, portando la tortura a livelli incredibili di ingegno e crudeltà, nascondendo veri criminali dietro una legalità troppo spesso personale.
Forse quello che maggiormente colpisce è non tanto le condanne per eresia o stregoneria, quanto il terribile processo di tortura che un accusato doveva sopportare. Alcuni oggetti di tortura, come ad esempio la forcella dell’eretico, erano studiati per consentire la possibilità di dire una sola parola, che una volta pronunciata avrebbe messo fine a tale tortura: ” abiuro”.

sedia - Homo homini lupus - il museo della tortura

Credo che sia difficile accettare che vi possano essere persone in grado di torturarne delle altre. Eppure la storia è piena di documenti che rivelano questo lato dell’essere umano, esistono trattati, scritti per poter diventare esperti nei metodi di tortura. Non vi allego nessun link a nessun testo, non vogliatemene, ma non mi piace fare pubblicità a testi che spiegano quale sia la tecnica migliore per estorcere informazioni ad un essere umano.

Erroneo quindi pensare che la tortura sia un mero ricordo del passato, basti pensare alla dichiarazione del presidente dell’associazione Antigone nel 2014 che dichiarò :

“L’Italia è in ritardo di ben venticinque anni rispetto agli obblighi che ha assunto con le Nazioni Unite. Quasi tutte le democrazie si sono adeguate, l’Italia no. L’Italia non ha ancora il delitto di tortura nel codice penale. Tutto ciò ci pone ai margini della comunità internazionale. In autunno saremo giudicati dal Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu e questo sarà un tema decisivo. Abbiamo raccolta in meno di una settimana oltre 10 mila firme a sostegno della legge che proibisca la tortura. L’appello è stato firmato da scrittori (Andrea Camilleri, Erri De Luca, Massimo Carlotto), da intellettuali (Eligio Resta, Luigi Ferrajoli), da politici con proprie testimonianze video (Gennaro Migliore di Sel, Laura Coccia del Pd, Federica Daga del M5S). Il testo, approvato al Senato, ora pende alla Camera. Non è il migliore dei testi possibili.”

Esiste un museo dove tutto questo è considerato una memoria importante : il museo della tortura e della pena di morte a San Gimignano, Siena, Montepulciano, Lucca e Volterra.

Il museo ha avuto critiche contrastanti proprio per la difficoltà del tema che va ad affrontare. In un articolo del Mattino di Napoli del 1986 , dopo l’inaugurazione di una mostra curata dal museo della tortura e della pena di morte, si legge :

Le antiche sale ritornano così, simbolicamente, al ruolo di prigione che a lungo hanno avuto in passato. I visitatori sono stati decine di migliaia: tutti attratti, inorriditi, affascinati o scandalizzati per gli strumenti esposti. L’ hanno accusata di essere la “Disneyland degli orrori”, una morbosa rassegna di strumenti di supplizio e di oppressione. Ma sono stati in molti ad apprezzarne, invece, il valore storico-documentario tutto particolare per una mostra che non solo offre testimonianze su un passato da pochi conosciuto, ma richiama anche l’ attenzione su quei Paesi dove ancor oggi garantismo e democrazia sono valori lontani… Per questo la mostra di Castel dell’ Ovo, che si deve all’impegno e alla determinazione dell’ Assessore alla Cultura Rusciano, vuole lasciare a Napoli il suo messaggio contro la tortura che è pure un grido di allarme per il futuro.”

Per l’articolo intero si veda :

 La disneyland degli orrori, il Mattino, Napoli,
02 marzo 1986

Molto più duro invece l’articolo di Alessandro Bedini, tratto dal “corriere fiorentino del 10.10.2012 che dice :

“…i musei della tortura, che da decenni imperversano in Europa e altrove, raccolgono invece un’accozzaglia di falsi, di ferraglia, di ricostruzioni approssimative, di spropositi cronologici – la maggior parte dei quali in riferimento ad una visione stereotipa e antiquata dell’età medievale- che mirano a suscitare la curiosità morbosa, piuttosto che a far comprendere la storia e la realtà della tortura giudiziaria…”

Se lo volete leggere per intero lo trovate QUI

Il Bedini scrive ancora :

Guadagni, sono gestiti da un’unica società”

Questo è indiscutibilmente vero, i musei della tortura sono gestiti da un’unica società, tutte le info le trovate sul loro sito :
Museo della Tortura e della pena di Morte

ed è anche vero che molti oggetti, in quanto in legno o con parti di legno, siano delle ricostruzioni, personalmente avrei apprezzato sapere se vi erano degli originali, ma purtroppo questo non viene specificato.
Quello che è anche da ricordare sono le numerose collaborazioni che le varie mostre, temporanee e non, hanno avuto con amnesty international.
Troviamo una serie di articoli di riferimento, direttamente nella rassegna stampa del museo, a questo link http://www.torturemuseum.it/rassegna-stampa/apre-museo-dellinquisizione/

Questo giusto per dire che, la violenza umana e il lato oscuro degli esseri umani, possono essere motivo di mille valutazioni e mille riflessioni. Personalmente, la cosa che maggiormente mi colpisce in entrambi gli articoli è il concetto di curiosità morbosa. Perchè effettivamente è così. Non solo il medioevo crea un alone di mistero, ma la violenza, produce quello strano effetto di curiosità morbosa, nel quale è difficile non cadere. Mi chiedo quali siano i meccanismi che scattano dentro di noi di fronte a certi strumenti. Personalmente se posso arrivare a comprendere come un essere umano possa arrivare alla violenza e al gusto sadico della tortura, quello che proprio non riesco a comprendere è il gusto degli spettatori. Le piazze sono sempre state gremite durante le esecuzioni e la così detta folla, più volte si è rivelata più letale del carnefice. Questo forse serve ad accomunarci tutti, a ricordarci, che comunque si voglia guardare, una parte nera, c’è in tutti noi.

Non credo che si possa visitare un museo della tortura senza farsi tutte queste domande, senza fermarsi a riflettere anche solo per un momento sulle motivazioni che ci spingono ad entrare.

Era una giornata di pioggia, i cani sono ammessi, per noi è stato importante dedicare un pomeriggio a questo museo, in modo da poterci perdere nei nostri ragionamenti e nelle nostre riflessioni, anche per molte ore dopo che avevamo abbandonato le stanze del museo.
Una persona un giorno mi ha scritto :
“penso che forse le storie siano anche un modo per interrogarci sulla vita, e raccontarle un modo per condividere la domanda” ( Fiore Lorenzo )
Questa frase mi accompagna da un po’ e per questo, dopo molti dubbi ho deciso di condividere questo articolo, perchè quel pomeriggio al museo mi ha costretto ad interrogarmi su fatti profondi della vita e condividere questo articolo è un modo per condividere le mie domande.

Torniamo quindi a quel giorno. Pioveva e spesso avevamo espresso la curiosità di andare a visitare un museo della tortura. Potevamo scegliere il più vicino a noi, quello di Lucca, ma non si può resistere al fascino di Volterra. Per descrivere Volterra non bastano le parole conosciute, è magica, un terra di storie e di persone particolari, un luogo dove ancora si respira il passato. E’ strano, ma nella nostra immaginazione, o forse dovrei accettare la parola morbosa da accostare ad immaginazione, non vi era posto migliore per andare  a vedere un museo della tortura e della pena di morte, di Volterra.P5110052 - Homo homini lupus - il museo della tortura
Siamo entrati dalla porta di Docciola che viene definito uno dei più begli ingressi per la città di Volterra. Talmente bello che anche Gabriele D’annunzio gli ha dedicato le sue parole :

“Chi sciacqua le lenzuola alla Docciola,

convien che l’acqua attinga alla Madringa “

La Madringa è un grosso masso con un’apertura, che porta ad una fonte. Le storie narrano che fosse un luogo bazzicato dalle donne di giorno e dalle streghe di notte. Direttamente dal libro “Volterra magica e misteriosa” di Franco Porretti si legge :

“Se fu facile per San Barbato abbattere il secolare Noce di Benevento e disperdere cosi le migliaia di streghe che vi si davano convegno, le difficoltà che avrebbe incontrato a Volterra sarebbero state tanto sovrumane da fargli perdere la speranza di poter sfrattare da Mandringa le malefiche allieve di Satana che schiamazzando vi si radunavano la notte del sabato. Un conto fu tagliare l’albero, per quanto maestoso, e costruire sulle sue radici una chiesa; un altro conto invece sarebbe stato distruggere quell’enorme masso che si staglia possente verso il cielo, sulla strada di Badia, avvolto nell’edera, nei rovi e nella madreselva. Ai suoi piedi, sotto l’arco duecentesco, sgorga da sempre un’acqua limpida e pura, ritenuta in ogni tempo la migliore della città:
“Chi sciacqua le lenzuola / alla Docciola, – ricordava il D’Annunzio nel Forse che si forse che no – convien che l’acqua attinga / alla Mandringa”.
Attorno al masso, di giorno, ero tutto un vai e vieni di donne e di ragazzi, un continuo ciarlare spensierato che accompagnava la lunga teoria di brocche e di mezzine di rame assetate di quell’acqua fresca e gorgogliante. Ma di notte, il sabato notte, poco prima che l’orologio di Piazza scandisse la fine di un altro giorno, un fruscio lento e rabbrividente penetrava l’aria gia greve e pregna di zolfo, seguito da un brusio che, sempre più marcato ed intenso, faceva da macabro preludio alla vorticosa danza delle streghe. Le donne e i ragazzi ascoltavano terrorizzati nel dormiveglia le voci stridule e sghignazzanti delle streghe e, quando il lugubre stridio della civetta e il lamentoso miagolio dei gatti annunciavano l’arrivo di altre entità malvagie, neppure gli uomini avevano il coraggio di uscire di casa. Sull’orlo delle Balze, un’altra notte di tregenda si stava consumando in onore del Principe delle Tenebre, ai piedi delle antiche mura, fra il sacro tempio dei Patroni e il diruto cenobio dei Camaldolesi.scalinata - Homo homini lupus - il museo della tortura

Sono pochi i passi fatti e già l’atmosfera si tinge di colori antichi, i pesci azzurri all’interno delle vasche della Docciola, hanno un carattere surreale. E’ come se ogni passo lungo la scalinata, ci porti indietro negli anni, indietro nei secoli, in tempi dove le streghe ballavano i loro sabba nelle notti di luna piena e lungo le strade vi era solo il vociare delle donne e il rumore delle ruote di legno dei carretti. Con questa sensazione ci rechiamo al museo. L’entrata è piccola e ad accoglierci vi è un enorme lupo mannaro accompagnato da un cartello che ci introduce al concetto che dentro ogni uomo vi può essere racchiusa una bestia.
Mi colpisce il fatto che la prima stanza sia dedicata alla motivazione che ha spinto a creare il museo, nel frattempo i primi strumenti ci accolgono. Dei collari a punte, per niente differenti dagli attuali collari utilizzati in ambiente coercitivo per l’addestramento dei cani, sono esposti proprio accanto alla biglietteria.
Ho letto tante campagne pro e contro collari a punte e elettrici utilizzati per l’addestramento dei cani (i primi sono ancora legali in Italia, mentre i secondi teoricamente sarebbero considerati illegali), mi stupisce la facilità della soluzione, sono i primi attrezzi che troviamo esposti, sono i primi attrezzi considerati di tortura.

collare doppio - Homo homini lupus - il museo della tortura Dentro di me mi dico, che per i cani le considerazioni sono sempre differenti, ma ammetto che questa semplificazione mi sollevi leggermente l’animo.
I primi poster ci spiegano perchè è nato questo museo:

“Questa esposizione vuole essere un segnale, un invito alla memoria, un solenne avvertimento affinché queste cose non si ripetano perché, oggi come ieri, questi atti ripugnanti continuano ad essere perpetrati in questa che chiamiamo “epoca civilizzata”.

Le prime riflessioni cominciano ad affacciarsi alla mente e le prime domande iniziano a farsi strada tra i mille pensieri. L’emotività, ancora relegata ad un ruolo di spettatrice, aspetta il suo turno.

La musica è leggera e l’aria è leggermente più fresca di quanto vorrei, una spessa tenda nera impedisce all’immaginazione di varcare oltre, come se volesse tutelare il visitatore, come un monito, se scosterai questa tenda sarà solo per tua volontà, nessun occhio deve venir offeso. Mi sento come la moglie di Barbablù davanti alla porta proibita, con la chiave in mano e il monito di non entrare. Scosto la tenda. L’aria fresca si sposta tagliandomi il viso e infastidendomi, giusto il tempo di distogliere lo sguardo e già la tenda si è richiusa dietro di me e di fronte a me l’orrore prende forma.

salone - Homo homini lupus - il museo della tortura

Mi sono fermata ad ogni teca, ho guardato ogni stampa e ho letto ogni cartellino. La mostra è abbastanza accurata, indubbiamente è interessante e è “pulita”. Come già detto precedentemente la maggioranza dei pezzi sono copie, anche se avrei gradito questo dettaglio nella descrizioni, le ho trovate corrette e senza toni sensazionalistici. E’ un mostra che cerca di non offendere, perchè con gli oggetti che ha offende anche senza fare nulla. Ho sentito l’emozione uscire come un alien dal mio stomaco quando mi sono trovata di fronte “la pera orale, rettale o vaginale”. Per quanto la mostra cerchi di essere più “storica” possibile e più pulita possibile, quello che racconta, quello che dice è indubbiamente molto forte e a volte pecca di superficialità, come nel caso della cintura di castità, per maggiori informazioni si faccia riferimento all’articolo di Polidoro  “la cintura di castità, un falso moderno”.
Tra le righe di molti cartellini vi è annotato anche quali sono gli strumenti che sono tutt’ora in uso e dove, oppure se hanno avuto utilizzi più recenti del medioevo. Ho trovato discreta questa informazione. Indubbiamente esistono foto “attuali” dell’utilizzo di alcuni attrezzi, mi sono chiesta che effetto avrebbe avuto vederle e non leggere e basta lasciando il tutto all’immaginazione e alla ricerca. Ho apprezzato la non speculazione su questo fatto.
Uno degli strumenti che mi ha colpito è la catena del giocatore d’azzardo. La ludo-dipendenza è considerata ai giorni nostri una patologia, i giocatori d’azzardo e coloro che non pagavano i propri debiti, un tempo venivano denigrati sulla pubblica piazza. Da quanto lontano arrivano i nostri vizi peggiori?

catena gioco doppia - Homo homini lupus - il museo della tortura

La ghigliottina non mi è “piaciuta”, nel senso che l’ho trovata troppo poco reale, un po’ sotto misura e spiegata sommariamente, oltre che fuori periodo storico. L’unica traccia dell’esistenza di un tipo di ghigliottina, si ha grazie ad una stampa del 1307 in Irlanda. La ghigliottina come la conosciamo noi è un’invenzione francese del 1792, costruita da un musicista, Tobias Schmidt, su  disegni di Antoine Luis, segretario dell’accademia di medicina.Il nome gli viene ghigliottina - Homo homini lupus - il museo della torturada Joseph-Ignace Guillotin  che fu uno dei relatori della legge che prevedeva, in 6 articoli, le nuove norme per l’esecuzione capitale e fra queste anche la decapitazione. Inizialmente venne chiamata Louisette o Petit-Louise, visto che Guillotin non ne era l’inventore, successivamente venne cambiato. Quindi non la trovo in sintonia con il resto della mostra, però per il racconto delle mie origini, che non vi farò oggi, è stato molto d’impatto trovarmi davanti ad un attrezzo che tantissimi anni fa , forse, cambiò le sorti della mia famiglia, portandomi ad essere dove sono ora.
Uno dei pezzi “forti” della collezione è la ricostruzione di una vergine di Norimberga, non posso dire che mi è piaciuta,si può mettere un like sotto la foto della vergine di norimberga? è politically correct? Da quando abbiamo facebook, la vita è diventata un pollice verso il cielo da cliccare o condividere, o ti piace o non ti piace. Per fortuna nel mondo esistono ancora le sfumature anche se sempre di più ci semplifichiamo la vita con i colori primari.
Tavoli, attrezzi, corde, mantelli e ad un tratto mi rendo conto che non stiamo parlando da un po’. La mostra ha preso il sopravvento. I dubbi e le domande si erano ammassati senza che me ne fossi accorta, mi chiedevo se era giusto guardare quelle atrocità, quale gusto sadico, quale morbosa curiosità aveva condotto i miei passi fino lì.
Come sempre quando mi trovo in difficoltà sento la necessità di sdrammatizzare e mi sono permessa una foto per gioco, una foto per tamponare quel senso di colpa. Che poi non so bene in che ruolo giocasse il senso di colpa, nel ruolo del carnefice? un senso di colpa perchè appartenente alla razza umana che tanto era riuscita a fare, oppure il mio era senso di colpa dello spettatore? di colui che guarda e che ride e che sbeffeggia la morte che capita ad un altro o ancora il mio senso di colpa era per la vittima? Perchè forse a tratti mi ci sono vista,ho la totale certezza che per il caratteraccio che mi ritrovo, non avrei avuto vita facile nel medioevo.
E’ stato allora che ho deciso per la foto che sdrammatizzasse il tutto, me ne scuso, ma ad un tratto, tra la vergine di norimberga, una sedia da inquisizione e la ghigliottina ho visto tre persone in silenzio che guardavano il cellulare e non ho potuto fare a meno di chiedermi quante sono le sfumature della tortura. Certo non voglio paragonare un cellulare con gli strumenti che erano presenti o che vengono utilizzati ancor oggi, ma purtroppo la tortura, o forse il male in generale, ha più sfumature dei like di facebook.

foto mia - Homo homini lupus - il museo della tortura

Siamo usciti dalla mostra in silenzio, l’uragano era passato e un timido sole, scaldava con irriverenza una giornata bagnata, creando un soffocante alone di afa. Non so come, ma ad un tratto eravamo ad un tavolo con davanti un ottimo gelato artigianale, la necessità di un po’ di dolce dopo tanto amaro aveva preso il sopravvento. Parlavamo dei valori del mondo, della brutalità dell’uomo e ci chiedevamo perchè avevamo dedicato un pomeriggio a quel museo, quale erano le motivazioni che ci avevano spinto fino là.
Scalino dopo scalino siamo tornati al nostro tempo e alla nostra realtà, ma i dubbi e le domande ci hanno accompagnato, forse molti di più di quelli che posso raccontare in un semplice articolo. Non posso dire che vi consiglio di non andare, ma non posso dirvi nemmeno di andare, l’unica cosa che mi sento di scrivere è che qualsiasi cosa decidiate, fatevi tutte le domande possibili su questo argomento, in questo caso, credo che, qualsiasi sarà la vostra decisione, la mostra avrà veramente sortito lo scopo che cerca di spiegare all’inizio non solo come invito alla memoria, ma come invito alla riflessione.

 

Le informazioni sulla mostra le trovate sul sito, comunque le info sono :

Piazza XX Settembre, 3
Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 19 (invernale solo sabato e domenica)
Prezzi: intero € 8,00; ridotto € 6,00; gruppi € 4,00
Informazioni: tel. + 39 0588 80501

il museo è aperto ai cani

e adesso i link dell’articolo e qualche spunto di riflessione :

il museo della tortura e della pena di morte

un bell’articolo sui vari musei della tortura

l’articolo di Bendini contro il museo

la rassegna stampa del museo

un buon sito su Volterra

Un bellissimo articolo di Massimo Polidoro “La leggenda delle cinture di castità, un falso moderno”

un articolo contro la mostra di Lambroso di Patrizia Stabile, un buono spunto di riflessione quasi fuori tema

Galleria

Consiglio dell’esploratore

Cercate le domande e lasciate che il “tardis”, faccia quello che deve fare

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