La Croce dei Pisani: l’ultima eredità del perduto tesoro di Paolo Guinigi

 

 

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La croce dei pisani è tutto ciò che resta del famigerato tesoro di Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400 al 1430. Non fu un sovrano molto amato dai lucchesi a causa delle alleanze che fece con milanesi e fiorentini. Per paura di un colpo di stato spostò molte delle sue ricchezze fuori da Lucca e alla sua morte tutto ciò che si trovava ancora in città e che ricordava la famiglia Guinigi venne distrutto dalla folla furiosa, convinta che avesse rubato loro per molti anni. Inoltre anche il famosissimo sarcofago di Ilaria del Carretto, commissionato da Paolo a Jacopo della Quercia per la moglie morta di parto, rischiò di andare perduto e venne salvato all’ultimo minuto dall’artista lucchese Matteo Civitali, che lo tenne al sicuro nel suo studio.

Proprio per questo la Croce dei Pisani ha un grande valore storico oltre che artistico.

croce dei pisani 3Si tratta di un opera di oreficeria di altissimo livello che Paolo Guinigi nel 1411 pagò 219 fiorini d’oro, più 71 fiorini per la doratura. È stata realizzata da Vincenzo di Michele da Piacenza, un orefice molto famoso tra le corti di quel periodo, e per questo influenzato dal Gotico Internazionale; si fermò per qualche anno a Lucca al servizio di Paolo Guinigi, ed eseguì per lui anche un elmo da parata poi andato distrutto.

La croce, alta quasi 80 cm, per la sua ricca e particolare decorazione doveva essere posta sull’altare durante le cerimonie religiose più importanti.

Guardandola spicca subito agli occhi che questa non è una semplice croce, ma si rifà all’interpretazione francescana che da strumento di tortura la trasforma in albero della vita (arbor vitae) e simbolo della redenzione dell’umanità. L’opera è ricca di dettagli, personaggi e simbologie. Ai lati del Cristo crocifisso troviamo la Madonna e San Giovanni, mentre alle quattro estremità, all’interno di edicole, ci sono tre evangelisti a cui fa capo il Redentore Benedicente. La complessità dell’opera sta nel fatto che anche la parte retrostante è ricca di elementi, ben ventiquattro piccoli mezzi busti di Apostoli e Profeti, per unire il Nuovo e l’Antico testamento. Per sottolineare il sacrificio di Cristo, che dà la sua vita per salvare l’umanità, l’artista sceglie di porre sulla sua testa un pellicano con i suoi piccoli. La ragione è legata ad un’antica credenza secondo la quale questo animale nutriva i suoi cuccioli con il proprio sangue e con la propria carne, ecco perché nel medioevo veniva spesso rappresentato nelle chiese.

L’intreccio tra leggenda e realtà

Il nome di questa croce nasce da una leggenda seicentesca: si dice che in origine appartenesse ai pisani che, bisognosi di un prestito, la diedero in pegno alla Cattedrale di Lucca. Alla scadenza del pegno i lucchesi si accorsero che la croce aveva in realtà un valore ben più alto del prestito che avevano dato, decisero così di inventare uno stratagemma: misero tutti gli orologi della città un’ora avanti, i pisani arrivarono tardi all’incontro e persero così la possibilità di riavere il crocifisso.

In realtà, alla caduta della Signoria di Guinigi, la croce venne data alla Cattedrale. Durante la guerra con Firenze furono i canonici, nel 1436, a dare la croce in pegno al comune di Lucca, e riuscirono a riscattarla nel 1439 vendendo dei terreni. Il comune deliberò che la croce non dovesse mai più essere data in pegno o lasciare la città, e così fu. Ancora oggi è possibile ammirarla in tutto il suo splendore al Museo della Cattedrale di Lucca.

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