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Una lettura di Ancona attraverso il cinema

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Ancona

Simone Dubrovic, nato ad Ancona ed insegnante di lingua, letteratura e cinema italiani al Kenyon College di Gambier in Ohio (Usa), ha scritto per noi una lettura della città di Ancona da un punto di vista cinematografico.

Forse non tutti sanno che ad Ancona sono stati girati diversi film.

E’ questo un invito (al lettore) a vedere o rivedere i film che Simone cita nel suo interessante contributo, e naturalmente a visitare quegli stessi “squarci di bellezza” e riviverli come in un film.

Ancona è una città straordinariamente – moderna – se pensiamo alla sua dimensione ambivalente: sospesa, non risolta ( caratteristiche tutte definibili appunto “moderne”).

Molti i passaggi su Ancona, in opere letterarie. La maggior parte cattura l’essenza di una città difficile, impervia, una città in bilico tra aspetti contrari: non accogliente, ascendente, una città che riflette addirittura quasi un cammino criptico tra le regioni dell’oscurità, della fatica e degli improvvisi squarci di bellezza, i quali che sembrano risolvere, per un brevissimo istante, quella sorta di percorso limbico attraverso cui si è passati per raggiungerli.

Questa percezione è presente anche nel cinema: così almeno come si percepisce dal film di Nanni Moretti, La stanza del figlio (2001), interamente girato ad Ancona: una città silente e introversa, che talora si apre, per poi richiudersi. Un film intimista, La stanza del figlio, la cui storia è approfondita proprio dalla città di Ancona. È il racconto di un lutto – la perdita di un figlio – , e della chiusura che il dolore provoca, accompagnandosi a quei tentativi di riconoscere possibili (e forse illusorie) aperture. Ancona, nel film, definisce principalmente questo. Ma anche definisce una certa psicologia della città e della società italiana, cioè vivere le cose sempre in un ambito “privato”, in una stanza isolata, chiusa: un atteggiamento che, culturalmente, è la nostra grandezza, come italiani, ma anche il nostro problema. Grandezza perché ci dà la possibilità di comprendere i più minuti dettagli affettivi, “problema” perché è un cerchio da cui è difficile uscire; estendendosi, ramificandosi infine a tutti i livelli della società, anche (e non ultimi) quelli politici.

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Infatti, quando mi capita di vedere questo film con i miei studenti americani, lo accompagno a un altro film sulla stessa linea, il bellissimo Gruppo di famiglia in un interno (1974) di Luchino Visconti (pubblicato nella versione inglese come Conversation piece).

Ci sono altri tre film importanti che, benché non girati interamente ad Ancona come il film di Moretti, offrono della città un ritratto preciso e poetico : Ossessione (1943) di Luchino Visconti, I delfini (1960) di Francesco Maselli (noto in inglese con i titoli The Dauphins o Silver Spoon Set) e La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini (Titoli in inglese: The Professor o Indian Summer).

Nel Ossessione e La prima notte di quiete Ancona viene utilizzata nei momenti più intimi e segreti della storia. In Ossessione Gino e lo “Spagnolo” (the “Spaniard”) sono affacciati sul muricciolo: dietro ci sono la Cattedrale di San Ciriaco, e di fronte il dirupo che scende verso il mare; e con pochissimi tocchi Visconti rende magnificamente il destino “affacciato sull’abisso” dell’omosessualità, in fragile equilibrio oltre il limite della morale cattolica, anche se tutto questo discorso è assolutamente implicito, in una sequenza che sa di confessione e di reticenza, al tempo stesso.ossessione_duomo

Oppure ne La prima notte di quiete la Villa La Favorita rappresenta le rovine della giovinezza e segna il momento filmico in cui, ancora non dichiarandosi completamente, il Professor Dominici comincia a parlare della sua vita all’amico Spider. Pur non essendo nella città, la scena del film di Zurlini coglie una certa poesia sempre riferibile ad Ancona: l’attenzione al fasto decaduto, con un suo orgoglio e una bellezza irriducibile (da ricordare che Villa La Favorita era ancora diroccata quando vi fu girato il film) e anche uno strano senso intermedio, incompiuto, di transizione – che nella villa si esemplifica appunto attraverso l’architettura: uno stile settecentesco minato da una percezione labirintica sfuggente, inquieta, forse già preromantica.

Un discorso a parte merita il film di Maselli I delfini, ambientato ad Ascoli Piceno, che però vede Ancona presente , quando i ragazzi vanno a prendere alla stazione l’amica Marina, di ritorno da un ricovero in Svizzera. La scena comincia con le macchine che arrivano a Piazza Rosselli, una piazza spoglia ed ellittica come un circuito da corsa, a rimarcare forse il destino dei “delfini”, i giovani le cui vite sono senza uscita, pure nell’arroganza delle loro auto e della loro ricchezza. Ma la cosa più interessante è vedere, dentro la stazione, appena oltre gli ultimi binari, uno spazio ormai oggi irriconoscibile, subito affacciato sul mare: un mare deserto, che sigilla la città ed è solo teatro di lavoro e di fumi funerei dei cantieri navali (potete visionare lo spezzone qui ).

Anche altri film sono stati girati ad Ancona ma a me, personalmente, questi ricordati sembrano i più significativi, per quello che il cinema può offrirci, in una precisa descrizione psicologica, sull’identità dolente della nostra città: una città in cui coesistono i contrari, una città che oscilla tra introversione e estroversione, una città di possibilità e impossibilità.

Grazie a: Simone Dubrovic

Simone Dubrovic nasce ad Ancona e attualmente insegna lingua , letteratura e cinema italiani al Kenyon College di Gambier in Ohio (U.S.A.), dove è professore associato e dove dirige il programma di italiano nel Dipartimento di Lingue e Letterature Moderne. Si è interessato alla critica stilistica e alla critica psicanalitica. Ha pubblicato studi sulla letteratura del Rinascimento, dell’Ottocento e del Novecento, come anche lavori sul cinema italiano.

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