Paris, mon amour?

Parte prima: domenica 10 aprile, sole e calore estivi, pic-nic alla Villette, insieme a centinaia e centinaia di altre persone che, come noi, hanno scelto di venire a rilassarsi sui verdi prati (poco ombrosi, però!!!) di questo parco del nord-est parigino. Verso le sei e mezza decidiamo di incamminarci verso casa, così attraversiamo il parco e ci imbattiamo in un ragazzo più o meno amico di mio marito, che cammina a fianco ad una ragazza. Si scambiano i saluti. E così viene fuori che la ragazza è italiana come me.  Scatta la presentazione tipo degli italiani all’estero: «di dove sei? da quanto tempo sei qua? tornerai in Italia?». Lei è di Taranto, è una studentessa Erasmus ed è venuta a Parigi con l’entusiasmo tipico di chi ama questa città ancor prima di conoscerla. Certo che l’innamoramento è continuato, anzi sta pensando di tornare a far la specialistica qua, una volta finito il triennio universitario in Italia. Però se all’inizio mentalmente pensava a Parigi così: Parigi♥!!!, adesso ci pensa così: Parigi? Sì, Parigi…e sa che ci sono qua i pro e i contro da accettare, come in ogni realtà umana.

Ed io che ti ascoltavo e ti guardavo mentre parlavi, cara ragazza, non ho potuto fare a meno di rivedermi in te, poco meno di dieci anni fa, quando ero a fare anch’io l’Erasmus, ma a Rouen, in Normandia.

Perché come te ero entusiasta di quell’anno spensierato e vitale. Autonomia, indipendenza e ben poche responsabilità: quando mai nella vita ti ricapita un periodo così? E poi la Francia, questo paese così bello ma anche contraddittorio, che scoprivo mese dopo mese.

Ma perché questo paese, allora? Cos’è che piace tanto agli italiani, in genere, quassù?

Io credo che, a parte le attrattive che fanno da denominatore comune all’amore di molti per Parigi, ognuno abbia la sua storia d’amore personale, chiamiamola così, con questa città.

A tutto questo mi ha fatto pensare l’incontro di domenica, e allora:

Parte seconda: ho 7 anni, e mi rivedo sbarcare a Gare de Lyon con mamma, zii e cugini pestiferi per una settimana pasquale. È il 1989, sulla torre Eiffel brilla a caratteri cubitali il numero 200. Sono due secoli dalla Rivoluzione Francese, mi avrà sicuramente detto mia mamma col suo fare pedagogico. E questa città mi è già rimasta nel cuore: i croissants al burro dell’hotel, il cuscino a salsiccia dello stesso hotel, il tipo che in strada vende noccioline in una serata fredda, e che me ne vuole offrire prima di andarsene via, e io che timida non oso, il video di Madonna in qualche brasserie, i tanti marmocchi neri della mia età che c’erano qua quando da noi ancora l’immigrazione non la vedevi…non lo so perché, ma sono queste le cose che mi vengono in mente di quella vacanza, oltre alla tremenda passeggiata alle Tuilleries dove mi persi correndo dietro ai maledetti piccioni parigini.

Ho dieci anni e all’esame di quinta elementare scelgo di portare la Rivoluzione Francese! Troppo bellina la storiella sul sussidiario, movimentata…Tredici anni e esame di terza media: idem. Quarta ginnasio: la prof ci domanda cosa ci viene in mente quando pensiamo alla parola rivoluzione: sangue, violenza, morti, rispondono alcuni miei compagni. Rivoluzione francese e russa, rispondo io! ma questi la storia non l’hanno mai studiata?

E poi potrei continuare con la gita del liceo a Parigi eccetera eccetera, ma devo fermarmi: sono in ritardo e devo correre al nido a prendere il pupo!

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