Paris – New York

Lo avrete sicuramente letto. L’avete letto? Arrivano due nuovi “blogger dalle città”: da questa settimana potrete sintonizzarvi sulle frequenze zingare di New York e Madrid!

 
Cominciamo da New York. Come parlare di New York da Parigi, mi direte voi. Come non parlare di New York da Parigi, vi rispondo io. Credevamo che Parigi credesse di essere il non plus ultra. E no.  Davanti alla Grande Mela la Ville Lumière sogna, aspira, anela, arrossisce.  E si sente meno grande. Perché al di là del mare c’è il flair del nuovo mondo, lo spirito di eguaglianza e libertà a cui la Francia, generale La Fayette in testa,  ha creduto prima di ogni altro paese in Europa. E poi quel tantinello di efficienza anglosassone (glisso qui su quella teutonica) che fa un po’ invidia a  questi francesi velleitari e in fondo irreprimibilmente mediterranei, improvvisatori come noi e perdigiorno forse più di noi.

Ma torniamo allo spirito di libertà e al suo simbolo, che tanto indissolubilmente lega la Francia all’America e Parigi a New York: Lady Liberty signori, la Statua della Libertà.

 
Benedico da Parigi il nuovo blog newyorkese parlandovi di lei. La storia comincia nel 1866, quando Edouard de Laboulaye,  giurista e uomo politico antimperialista e  filoamericano, ha l’idea di commissionare una statua che celebri l’amicizia tra i due popoli. I tempi non sono maturi, finché al trono siede Napoleone III. Ma lo saranno, dopo la sconfitta di Sedan e l’instaurazione della repubblica.

I primi fondi per la costruzione della statua arrivano infatti nel 1873, direttamente dall’allora presidente Adolphe Tiers. Non basteranno. Servirà ancora una lotteria organizzata in Francia dal realizzatore della statua, il giovane scultore Bertholdi e una colletta messa su a New York dal signor Pulitzer, giornalista il cui nome ci ronza ancora oggi ogni tanto nelle orecchie.

Intanto Bertholdi continua imperterrito la sua opera, riuscendo ad inviare a New York la torcia della libertà nel  1876 – mancando di poco i festeggiamenti per i cento anni della Rivoluzione Americana, a presentare la testa all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e, finalmente a terminare il corpo, rivestendo di pannelli di rame la struttura in ferro realizzata da Gustave Eiffel (anche di lui si parla ancora, mi pare).
Ma i giochi non erano finiti. Per essere spedita in America la statua, nata a Parigi, fu interamente smontata, e i pezzi furono numerati uno per uno. Viaggio in treno fino a Rouen, in battello sulla senna fino a Le Havre, poi il grande oceano e lo sbarco a New York, dove la strada troneggia ormai da 125 anni, compiuti il 28 ottobre scorso.

E fu così che la Statua della Libertà emigrò in America. Se il vostro budget basta solo per Ryanair e Easyjet  rassicuratevi. A Parigi ci sono ancora tre statue della libertà, in scala ridotta, ma tutte rigorosamente firmate Bertholdi: una sull’Île aux Cignes (in mezzo alla Senna, i battelli turistici che percorrono il fiume le dedicano sempre una tappa), una ai Giardini Lussemburgo, una terza  al museo di Arts et Métiers. E non dimentichiamo la fiamma della libertà sul ponte dell’Alma, che con Bertholdi ha poco a che fare (fu posta nel 1987 per il centenario dell’International Herald Tribune), ma che merita una tappa in quanto luogo di culto di Lady D a Parigi. 

E poi, chiudendo, vi ricordo il leone di Denfert-Rochereau. Quando scendete dall’Orlybus arrivando dall’aeroporto, fate un giro della piazza prima di infilarvi nella metro.  Lo so bene, le valigie pesano. Ma su quel leone hanno lavorato le stesse mani a cui dobbiamo la Statua della Libertà.

Ludovica Maggi

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