Lisbona è per una settimana o per sempre.
Sempre magari no, ma un pezzetto di vita di sicuro. Lisbona è una donna soave, leggera, con un vestito bianco che mostra le caviglie un po’ grosse. Ha il capello castano lungo, un po’ arricciato sulle punte.
Io ho scelto dieci giorni. Scelta infelice che mi porta a ripensare alla bellezza di una malinconia che si insinua con la pioggia, che entra nelle ossa come l’umidità, che ti accarezza piano e ti rende irresistibilemente riflessivo.
In realtà al di là dei san pietrini che non hanno pietà per nessuna piccola-grande-sportiva o forte scarpa, al di là della luce che invita le pittrici spagnole a immergere le setole dei pennelli nei colori di un cielo caldo, al di là degli occhi che vivono alla finestra fumando e godendo solo di una vista parziale della realtà, al di là del vento nervoso, forte e impetuoso che sradica alberi e crea un cimitero di ombrelli ad ogni angolo, al di là di tutto ciò, Lisbona nasconde una magia più importante.
Arrivi, non capisci la lingua, vedi case distrutte, solitarie, sguardi grevi e scorbutici e poi d’improvviso sei preso per mano. Lisbona attrae le anime più belle. Basta scendere in strada, passeggiare con animo leggero e fiducioso, senza meta e perché.
Si apriranno porte incredibili e non ci sono parole per descriverla senza cadere in una banalità di pensiero. Forse ogni città, col brivido dell’estero, regala queste emozioni ma, la mia Lisbona dalle gote rosse e le caviglie grosse può farti infuriare, renderti infelice, lasciarti nella malinconia più profonda ma, come i più grandi amori, non riesci a pensarla senza un sorriso, senza un grazie sincero. Perché lisbona è viva, viva come non mai, e ogni volta che qualcuno la incontra le lascia un pezzetto di se e ne cattura un cielo azzurro.
di Giulia Mauri