
Ho preso una decisione drastica: in questo blog, non si parlerà più di giornalisti italiani che si occupano di Turchia (anche solo in modo saltuario). O meglio, pur se mi capiterà di citare esempi particolarmente eclatanti di pregiudizi o disinformazione, eviterò di fare nomi (e cognomi). Il pregresso, è stato già cancellato.
Francamente, ho sempre pensato fosse più serio e corretto citare in modo completo la fonte che commentavo, o comunque prendere posizione riguardo persone che esibivano pregiudizi o disinformavano (in realtà, queste due opzioni sono spesso intrecciate) in modo sistematico.
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Pare però che qualcuno si senta “minacciato, o addirittura “in pericolo”: se le cose stanno così mi astengo, evito, mi tiro indietro. Continuo a essere convinto che le critiche – sulla base di parole scritte, o pronunciate – faccia parte del gioco. Ma se il gioco si fa invece pesante, condito da colpi bassi e artiglieria pesante, penso sia meglio desistere.
Nel senso: si può essere rispondere a tono, smentendo le critiche; se non si è in grado di farlo, si tace e magari si riflette sul perché delle critiche. O no? Ma non fa niente: tanto ormai imporre una leggenda nera sulla (o contro) la Turchia sembra diventata una moda, nella quale convergono istanze islamofobe e preferenze ideologiche.
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Io continuo a rigettare il giornalismo militante, da tifosi che neanche si nascondono ma esibiscono con orgoglio la sciarpetta del partito o movimento o corteo preferito; io invece preferisco i fatti, insieme alle analisi di chi – in virtù del proprio percorso accademico – è in grado di farlo: soprattutto riguardo la politica e l’economia. In ogni caso, è mia convinzione che un giornalista non può farsi apologeta di organizzazioni eversive o terroristiche: diffondendo le loro esternazioni, difendendo la loro reputazione.
D’altra parte: cosa c’è di così inaccettabile nelle critiche rivolte a dei giornalisti, anche in modo organizzato? L’esempio classico è quello di Informazione corretta: un progetto di italiani, israeliani, italo-israeliani che si sono assegnati il compito – già nel 2001 – di difendere Israele, sempre e comunque; potrebbero adottare come motto “Israele ha sempre ragione“.
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E come la difendono, Israele? Leggono la stampa italiana, sul loro sito invitano a contattare le pubblicazioni e i giornalisti che hanno scritto o detto qualcosa a loro avviso di inesatto, o comunque di contestabile. E’ capitato anche a me, molto tempo fa, di essere un loro bersaglio: scrissi un articolo che a Informazione Corretta non piacque, il giorno dopo mi arrivarono in sequenza delle mail di contestazione (una dozzina in tutto).
Il tono era agguerrito, il contenuto infarcito di contenuti propagandistici; ci fu anche qualche apprezzamento poco gentile: tipo inviti a “studiare”. Evvabbè. Ma mi sono sentito forse “minacciato”, per queste critiche ricevute? “Intimidito”? Ho magari pensato che mi avrebbero segnalato al Mossad? Essù: mica sono un mitomane!
Però, resta il fatto che se questa operazione viene organizzata a favore di Israele da Informazione Corretta, nessuno ha da ridire; se qualcuno si azzarda a ipotizzare qualcosa di simile per la Turchia, oggetto di demonizzazione quotidiana a colpi di fake news, c’è chi reagisce inventando – perché di invenzioni si tratta – “minacce” e anche peggio. Perché questa evidente disparità di trattamento?
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