Di Raimondo D’Aronco ne ho già parlato già altre volte: un architetto italiano tra i maggiori artefici della modernizzazione ottomana di fine ‘800, che ha lasciato capolavori assoluti non sempre ben conservati. Anzi, la residenza estiva dell’ambasciata italiana di Tarabya – in legno – grida vendetta, per come è stata lasciata marcire mentre quelle degli altri stati sono state restaurate e riaperte anche come centri culturali.
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Non troppo migliore è stata la sorte di Mizzi Köşkü sull’isola di Büyükada, il palazzotto in mattoni rossi – con possente torre d’angolo – che più volte aveva catturato la mia curiosità. Neanche sapevo se era abitato, lo immaginavo residenza estiva di qualche riccone ancora adesso: ma sono riuscito a visitarlo nei giorni scorsi perché è una delle sedi espositive della Biennale di arte contemporanea, l’ho trovato nello stato pietoso che queste foto testimoniano.
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Mi chiedo: ma le istituzioni italiane – penso soprattutto all’Istituto italiano di cultura, da anni inspiegabilmente lasciato senza direttore – non dovrebbero fare qualcosa per salvaguardare le testimonianze di italianità? Certo, non dispongono di fondi sufficienti e in ogni caso Mizzi Köşkü non appartiene allo Stato; d’altra parte, nel 2006 è stata organizzata un’importante mostra su D’Aronco e due anni fa una conferenza sugli architetti e gli ingegneri italiani in Turchia tra il XIX e il XX secolo. Non sarebbe però il caso di farla conoscere al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti, l’opera di D’Aronco a Istanbul? Di sensibilizzare le autorità turche sull’opportunità di restaurare Mizzi Köşkü? Di far apporre dei pannelli informativi davanti alle opere anche di altre opere celebri realizzate da italiane, magari di istituire itinerari di visita guidati? E’ mai possibile che oltre ai soldi manchino anche – e completamente – le idee?