Il degrado di Istanbul e il pittoresco degli italiani

fener-balat 03.04.2010 14-11-05

Un paio di mesi fa, ho scritto un post per evidenziare i più comuni pregiudizi su Istanbul: la città esotica, la città araba, la città sporca. Al punto 5, ho messo l’assurda pretesa di riconoscere in alcuni quartieri del centro storico – una volta abitati dalle ricche minoranze etniche ottomane, poi abbandonati e oggi preda di immigrazione selvaggia e distruttiva – la città autentica.

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5) LA ISTANBUL AUTENTICA (in realtà, si tratta di quartieri un volta fiorenti e oggi degradati, abitati per lo più da immigrati dell’Anatolia orientale)
Da una parte si può godere della città vecchia, meta preferita dei turisti, in cui però basta allontanarsi un poco dai siti più battuti per ritrovarsi nella Istanbul più autentica tra case che stanno in piedi per strane leggi della fisica, bambini che giocano per strada, piccole botteghe e laboratori dall’attività frenetica e donne avvolte nei loro veli più o meno coprenti. Dall’altra parte c’è la città nuova, quella che la consacra città cosmopolita in cui i veli per lo più spariscono e lasciano spazio a locali alla moda, negozi di grandi marchi e un fitto brulicare di vite e persone.

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Pochi giorni fa, qualcuno mi ha scritto per segnalarmi delle sue foto: che per l’appunto ritraggono particolari di queste zone, quasi vantandosi delle sue prodezze artistiche. Mi chiedo: ma perché tutta questa attenzione maniacale per il pittoresco? L’autore, mi ha perfino confessato di non esser stato nella “parte nuova” di Istanbul. Io sono sconcertato. Che poi, ho anche io segnalato un itinerario a Fener e Balat: ma quando ci vado con qualcuno, tendo a spiegare le origini storiche del degrado (e mostro anche i quartieri risanati, come quello di Sulukule).

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Davvero non capisco l’accanimento di altri – operatori turistici – nei confronti di questa città: che si vorrebbe condannare a un perenne degrado, solo per odio nei confronti dei “ricchi” che vanno ad abitare nelle zone bonificate da abusivismi e illegalità. Anzi, proprio a Fener e Balat ho notato recentemente – anche in virtù di programmi di risanamento finanziati dall’Unione europea – l’apertura di ristoranti chic, negozietti vintage e di design: ve ne parlerò prossimamente.

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