Le nuove forze armate turche

TSK

(già pubblicato sul mio blog “Cose turche” di Look Out news)

Il golpe fallito del 15 luglio ha spinto il governo turco a decidere riforme radicali delle proprie forze armate, rese possibili dal regime emergenziale tramite semplice decreto. Riforme quindi velocissime, per questo motivo criticate dal leader dell’opposizione Kılıçdaroğlu che avrebbe preferito condivisione e discussione parlamentare ragionata; ma molte delle misure prese erano già oggetto di dibattito politico da anni: consentono un migliore controllo del potere civile su quello militare come in tutti gli Stati a democrazia avanzata e ribaltano le anomalie create dai precedenti golpe del 1960 e 1980, che avevano legittimato per i militari un ruolo anche politico.

Innanzitutto, la composizione del Consiglio militare supremo – assegna gli incarichi di comando – cambia così da creare una maggioranza a favore dei civili (il presidente, il premier, i vice premier, alcuni ministri). Inoltre, esercito, aviazione e marina vengono direttamente subordinati al ministero della Difesa; gendarmeria e guardia costiera, invece, verranno gestite dagli Interni. Nelle intenzioni di Erdoğan – servirebbe però una legge costituzionale – la presidenza stessa ingloberebbe sia lo stato maggiore interforze sia i servizi d’intelligence. L’obiettivo: disperdere il potere decisionale, creando contrappesi ad eventuali nuove tentazioni golpiste (ulteriore precauzione: lo spostamento delle basi militari oggi dislocate negli spazi urbani).

Viene integralmente ripensata anche la formazione: scuole superiori militari e accademie vengono chiuse, è stata istituita un’università nazionale di difesa che curerà la preparazione degli ufficiali. Persino gli ospedali militari vengono staccati dallo stato maggiore e consegnati al ministero della Salute.

Tutte queste riforme non affrontano però un altro dei nodi strutturali, retaggio di esigenze strategiche che ormai appartengono al passato: la coscrizione obbligatoria (da 6 a 12 mesi), che gonfia gli effettivi a più di seicentomila senza che ciò – visti i tempi ridottissimi di addestramento – si traduca in capacità bellica. Se ne parla anche in questo caso da anni, ma non sono noti né studi approfonditi sul tema né proposte politiche concrete.

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