Sto scrivendo il mio solito articolo mensile per TimeOut: stavolta, su una mostra – Camera Ottomana – dedicata a “fotografia e modernità nell’Impero ottomano“, nella sala espositiva del Centro di ricerche sulle civiltà anatoliche dell’università Koç. Si trova in un bell’edificio su Istiklal caddesi, sulla terrazza trovate la brasserie Divan. La mostra, ad ingresso gratuito, rimarrà aperta fino al 19 agosto.
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Vi farò leggere l’articolo più in là, per il momento accontentatevi di qualche considerazione sparsa e di qualche pessima foto. Innanzitutto, la storia della fotografia nell’impero ottomano è particolarmente affascinante: il primo studio venne aperto a Istanbul – dagli italiani Naya – già nel 1845, in città arrivarono per l’appunto fotografi da mezza Europa, cittadini ottomani di etnia armena e greca ne aprirono dappertutto (Anatolia, Siria, Palestina, Ira). Tra i più famosi, gli Abdullah Frères: tre fratelli di origine armene – nome originario, Abdullahyan – che divennero fotografi di corte.
Dopo un’introduzione storica e tecnica, il nucleo centrale della piccola mostra è composto da una serie inedita di album che fanno parte della collezione privata di Omer Koç: raccontano la storia della costruzione del nuovo ponte di Galata, la costruzione della ferrovia dell’Hijaz, le miniere di Zongouldak, un attentato esplosivo contro il Sultano tentato fa estremisti armeni, pazienti chirurgiche dell’ospedale di Haseki che esibiscono cicatrici e sono ritratte a fianco dei tumori a loro asportati. Foto che per l’appunto non hanno intenti orientalisti – dall’esotismo all’erotico – ma mostrano lo sviluppo ottocentesco degli ottomani verso la modernità europea. a me invece entusiasmano, più che altro, le serie dedicate ai galeotti (le didascalie certificano reati e pene) e agli impiegati della Banca ottomana, in originale al SALT Galata: uno spaccato esteso e per lo più realistico della diversità di genti da cui era composto l’impero. Purtroppo, per motivi di spazio, solo una piccola parte della collezione è stata utilizzata per la mostra: ma c’è l’idea di un vero e proprio museo.
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L’ultima sezione, è poi dedicata alla circolazione delle foto: attraverso sia la stampa illustrata, sua le cartoline postali. Le teste mozzate che vedete appartenevano a dei banditi, decapitati post mortem come prova della loro uccisione: le foto vennero utilizzate almeno un decennio dopo – decontestualizzandole – per una campagna di stampa contro la dominazione ottomana in Macedonia. E certe brutte abitudini, non sono purtroppo mai scomparse.