Francesco Giubilei, la Turchia e il giornalismo militante

Il mio articolo di ieri su La Luce ha innescato una bella polemica. La risposta di Francesco Giubilei sul sito di Nicola Porro, però, non entra neanche minimamente nel merito delle mie osservazioni.

Il giornalista/editore ha preferito nascondersi dietro il rispettabile velo del vittimismo, ha continuato a spacciare per “critiche” – ed è questo il punto centrale del mio intervento – delle accuse gratuite, date in pasto ai lettori senza nessun riscontro fattuale. Un atteggiamento, questo, contrario a ogni regola più elementare del giornalismo e del buon senso.

Francesco Giubilei

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Sul piano politico, non posso che confermare tutto il mio imbarazzo per posizioni – quelle “cristianiste” dei sovranisti/leghisti come Francesco Giubilei – che considero retrograde, pericolose e soprattutto incompatibili con i fatti e con la storia. Farsi imbrigliare nella visione semplificatrice e dichiaratamente conflittuale dello scontro di civiltà – i cristiani “buoni”, i musulmani “cattivi” – è fondamentalmente da sciocchi.

Per essere più chiaro e tanto per fare un esempio: trovo frutto di infantilismo del pensiero considerare partner dell’Italia nel Mediterraneo l’Armenia e la Grecia, e non la Turchia, solo perché le prime due sono “cristiane”. Questa è comunque la prova autografa dei propri pregiudizi.

La mia replica, sempre su La Luce, potete leggerla anche qui sotto:

Il giornalismo militante ha modalità d’azione costanti e sfacciate. L’obiettivo che si propone è la difesa incondizionata di posizioni precostituite: i “buoni” e i “cattivi” vengono decisi a tavolino, i fatti vengono piegati alle esigenze di schieramento, la realtà capovolta con compiaciuta disinvoltura.

Un confronto richiede pazienza e comprensione, perché l’interlocutore – invece di rispondere a tono, paragrafo per paragrafo e idea per idea – svicola, inventa, manipola, ti attribuisce frasi e intenzioni mai espresse. A volte evita di riportare le tue parole, neanche per stravolgerle.

La replica di Francesco Giubilei all’articolo “La turcofobia della stampa italiana: tutta colpa di Erdogan”, pubblicato da La Luce sabato 30 ottobre, è un perfetto esempio di questo giornalismo in modalità combattiva.

Cito: “Esercitare il proprio diritto di espressione e di critica alla Turchia di Erdogan e all’Islam radicale, diventa ogni giorno più difficile anche in Italia.”; e poi: “alcuni giornalisti e scrittori vengono accusati di di islamofobia sguaiata per il semplice fatto di aver criticato Erdogan e la Turchia.”

Innanzitutto: in che senso “esercitare il proprio diritto di espressione e di critica alla Turchia di Erdogan” starebbe diventando “ogni giorno più difficile”? Quali sono i fatti, i riscontri, gli esempi portati a dimostrazione di questa tesi? A me non risultano. E comunque: esercitare questo diritto di espressione e di critica sarebbe forse reso “ogni giorno più difficile” in virtù di un articolo pubblicato sul quotidiano online La Luce? Davvero?

Soprattutto: cosa intende Giubilei con “critiche”? Di quali “critiche” parliamo?

Ne cito solo alcune, tra quelle già documentate:

Erdoğan è “il migliore punto di riferimento del mondo terrorista”;

Erdogan […] è come Osama bin Laden, […] ordina di trucidarci e i suoi sudditi obbediscono manifestando una crudeltà senza pari”;

“Impossibile non pensare a un nesso tra l’attentato di [Nizza] e la copertina di Charlie Hebdo uscita ieri”;

“La Turchia è il nostro nemico principale al giorno d’oggi. Vuole conquistare l’Europa e imporre la sua visione dell’islam”;

“Oggi il leader [della Turchia] sembra incoraggiare una nuova guerra di religione in difesa dell’Islam”.

No, queste non sono “critiche”. Sono invece accuse totalmente gratuite, mosse senza il benché minimo riscontro fattuale. In sostanza, il presidente Erdoğan viene presentato all’opinione pubblica italiana come capo terrorista o almeno punto di riferimento di gruppi terroristici, come il responsabile o almeno il mandante morale dell’assalto terroristico nella cattedrale di Nizza (compiuto invece da un tunisino transitato per Lampedusa). Ripeto: dove sono i fatti e riscontri su cui si basano le accuse?

E il punto, invece, è che queste accuse azzardate – senza che venga fornito un qualsiasi elemento concreto per spiegarle – contribuiscono a creare un clima di profonda ostilità nei confronti del mondo islamico e specificamente della Turchia: che è da decenni alleato dell’Italia nella Nato, che è un rilevante partner industriale e commerciale del nostro Paese (con oltre mille aziende italiane attive in Turchia), che con noi condivide esempi di cooperazione culturale di altissimo livello, che per l’Italia esprime continuamente ammirazione e amicizia. Vale la pena ignorare questa realtà, pur di autoimporsi una visione del mondo basata sull’opposizione dei “buoni” (i cristiani) ai “cattivi” (i musulmani, per di più turchi)?

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