In alcuni stazioni della metropolitana di Istanbul sono esposte delle foto con le scene più drammatiche ed esaltanti del golpe del 15 luglio. In quella di Taksim, oltre a quelle di cui vi ho già parlato – scattate dai reporter dell’agenzia Anadolu – ve ne sono anche altre molto diverse: i ritratti fotografici di alcune delle vittime civili – considerati martiri, şehit – che sono scese in strada contro i golpisti e sono stati trucidate.
LEGGI ANCHE: Le foto del golpe in Turchia
LEGGI ANCHE: Il ponte dei martiri del 15 luglio
LEGGI ANCHE: Golpe, patriottismo, bandiere
E’ un altro esempio della percezione diametralmente opposta di Turchia ed Europa/Usa di quanto è accaduto il 15 luglio e nelle settimane successive: mentre la Turchia ricorda e piange i suoi eroi e martiri e li inserisce istantaneamente nella sua memoria collettiva, nel cosiddetto Occidente prevalgono narrazioni complottiste (il “golpe fasullo”), isterismi islamofobi (il “velo obbligatorio”), empatia per i golpisti e per i membri del movimento che ha ispirato il golpe (la retorica sui “diritti umani”) più che per le vittime che rimangono sconosciute. E chi non conosce, finisce col rifugiarsi nei pregiudizi.