Il meccanismo è ormai consolidato: il quotidiano di opposizione Hürriyet (nell’edizione turca, meglio ancora in quella inglese) pubblica un articolo con notizioli e fattarelli che mettono in cattiva luce il governo e l’islam, i giornalisti italiani d’agenzia scopiazzano e rilanciano, i commenti si sprecano al grido di “l’islamizzazione!, “la Turchia è come l’Iran!”, “e questi vogliono entrare in Europa?“, “Atatürk si starà rigirando nella tomba”. Verifica della notizia? Ma perché perder tempo! Contestualizzazione? Non sia mai!
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Al di là della palese strumentalizzazione in chiave islamofoba, o almeno antigovernativa, può capitare che la bomba lanciata da e ripresa dai miei eroici colleghi si riveli una solenne bufala. E’ il caso, pochi giorni fa, di un festival dedicato al rakı – il diffusissimo distillato aromatizzato all’anice – che ha semplicemente cambiato nome, mentre si è fatto credere ai lettori che era stato annullato su pressione degli “islamici” (il motivo: sono vietate e la pubblicità a bevande alcoliche, sia le sponsorizzazioni da parte di aziende che le producono).
Ma i giornalisti non dovrebbero attenersi ai fatti? Non dovrebbero per l’appunto verificare le notizie e renderle comprensibili contestualizzandole? Perché riguardo la Turchia c’è questa sistematica operazione di disinformazione, di demonizzazione di tutto ciò che è in relazione all’islam? Perché sì, il titolo di Libero – “Bastardi islamici” – è particolarmente eclatante, ma l’impatto degli islamofobi soft è più capillare e nefasto. Nei fatti, a Istanbul – come in altre grandi città – chi vuol bere alcolici trova tutto ciò che desidera!
Aggiungo che personalmente sono un abituale – ma moderato! – consumatore di bevande alcoliche e che per forma mentis e formazione politica sono contro ogni forma di divieto: però il mio personalissimo pensiero e l’informazione sono due cose molto diverse.