L’ecologismo militante – come tutte tutte le forme di fondamentalismo – è antipatico e nocivo: percepisce la realtà in modo fortemente deformato, cerca d’imporre acriticamente e con prepotenza la propria visione del mondo. In Turchia fortunatamente non ha raggiunto – almeno per ora – proporzioni devastanti, ma di certo ha contribuito non poco a innescare le proteste del parco Gezi.
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Ultimo episodio della saga, il nuovo documentario di Imre Azem: che sostanzialmente mette in cattiva luce il settore delle costruzioni e i grandi progetti infrastrutturali del governo. Lo fa dando la parola solo ed esclusivamente agli oppositori, presentando – tra l’altro, in modo falso e tendenzioso – solo i costi i mai i benefici di tali progetti. Alcuni esempi: si presenta il settore delle costruzioni come il motore della crescita economica della Turchia, ma non si forniscono dati a sostegno di questa tesi (l’ultimo dato di cui dispongo, è il 6,2% del PIL); si parla della distruzione di insediamenti abitativi, non si spiega che si tratta di vere e proprie bidonville in cui le condizioni di vita sono penose (ed è del tutto falso che vengano distrutte abitazione con la gente dentro: il kapitalista kattivo, già); si fa credere che il rischio di terremoti è solo un pretesto per speculare, tacendo sulla storia plurimillenaria di terremoti terrificanti (soprattutto a Istanbul). Ma davvero: che senso ha difendere l’esistenza di aree fortemente degradate al centro della città?
Eppure, sono molto gli aspetti controversi da correggere e le storture da eliminare: non sarebbe preferibile concentrarsi su cosa c’è effettivamente da migliorare, invece di paventare catastrofi apocalittiche e di inscenare lotte all’ultimo sangue tra il Bene e il Male?