Le mostre a Istanbul, l’architetto Edoardo De Nari

Prima delle feste natalizie, sono andato all’inaugurazione di una mostra particolarmente interessante: soprattutto per gli italiani di Istanbul, o italo -istanbulioti (io almeno mi sento così!). Una mostra colta e raffintissima, accolta dall’Istituto di ricerche di Istanbul – costola del Museo di Pera, a quattro passi da casa Italia – e in programma fino al 20 aprile 2013 (l’ingresso è gratuito, gli orari di visita li trovate sul sito dell’Istituto): la terza della serie sugli architetti e urbanisti che hanno vissuto e lavorato a Istanbul, dopo quelle dedicate a Raimondo D’Aronco ed Henri Prost.

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In effetti, Edoardo De Nari non era ufficialmente né un architetto né un ingegnere, non ha mai frequentato scuole o apprendistati: ma ha esercitato entrambe le professioni in modo quasi ufficiale, ai massimi livelli; era invece un disegnatore e pittore, un tecnico di sala motori nella marina italiana: e non si chiamava neanche De Nari, ma Denari (di origini liguri, trapiantato a Venezia). Non è stato un impostore, però.

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Arrivò a Istanbul nel 1895, a 21 anni e da imbarcato: aveva un gran talento per la pittura, trovò l’amore – Cristel Mordtmann, figlia di ricco padre tedesco (medico e orientalista) e di madre italiana – e il lavoro, poi la fama e una grandissima influenza politica. Talento ne aveva da vendere: coi pennelli, con le matite, con le persone; morì nel 1954, nella sua residenza estiva sull’isola di Büyükada: e venne presto dimenticato!

Fino a quando, un paio d’anni fa e per puro caso, l’architetto Büke Uras si è imbattuto in due bauli con buona parte dei suoi archivi personali, da un rigattiere di Çukurcuma (il quartiere non a caso del Museo dell’innocenza di Pamuk): disegni, lettere, il suo diario – documenti che hanno dato vita alla mostra e hanno permesso di attribuire proprio a De Nari (ha cominciato a farsi chiamare così dopo il suo fidanzamento aristocratico, per fare bella figura) alcuni edifici prima senza autore.

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La mostra ripercorre – grazie ai materiali d’archivio e a didascalie molto esaustive, in turco e in inglese – la carriera professionale e politica del nostro compatriota, diventato anch’egli italo-istanbuliota: abitante all’inizio di una città cosmopolita, poi resa meno ricca e più omogenea da politiche dissennate e dalla perdita dello status di capitale ad appannaggio di Ankara. Si è occupato, quasi sempre in équipe, di edifici pubblici e di chiese (anche di quella di Sant’Antonio su Istiklal Caddesi), ma anche di ville private: nel corso del tempo ha spaziato tra i vari stili architettonici di volta in volta di moda, mostrando regolarmente uno spiccato interesse per i dettagli e per le soluzioni funzionali e ardite negli interni.

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Come dicevo, ha saputo conquistarsi anche un ruolo di grande influenza politica: come leader e rappresentante della comunità italiana, come mediatore tre le autorità ottomane e poi repubblicane e quelle italiane, nelle fasi belliche e poi in materia commerciale – era apprezzato da tutti, anche da Atatürk che fu ospite della residenza privata dell’architetto non-architetto, villa Lydia a Bebek sul Bosforo (dal nome di sua figlia, ovviamente da lui stesso disegnata e costruita). Una mostra piccola e intrigante, si visita in mezz’ora: per scoprire Istanbul com’era e gli istanbulioti com’erano.

Per contattarmi:
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