Ne avevo parlato già 4 anni fa, ancor prima delle rivolte di Gezi: la decisione di costruire una moschea in piazza Taksim, considerata per alcune fazioni politiche turche – quelle legati a posizioni oltranziste contro l’espressione pubblica del sentimento religioso – una sorta di sacrilegio, perché considerano quella piazza simbolo della Repubblica in opposizione alla precedente storia ottomana.
E in effetti, come ho poi spiegato numerose volte, le rivolte del 2013 – al di là di quanto sostenuto da pochi ecologisti duri e puri – non vertevano tanto sul destino di qualche albero già malandato ma su di una simbologia tutta politica: opporsi al dominio dell’islam politico (o della politica di ispirazione islamica), che voleva reintrodurre simboli ottomani – nel caso specifico, si trattava delle ricostruzione della caserma per l’appunto ottomana distrutta in epoca repubblicana, già teatro di scontri tra stato ottomano e rivoltosi “Giovani turchi” un secolo prima – in uno spazio considerato esclusivamente repubblicano e “laico” (cioè, per l’appunto, privo di qualsivoglia simbolo religioso legato all’islam).
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I lavori sono finalmente iniziati nei giorni scorsi nell’area stabilità a ridosso della piazza (in un’area al momento adibito a parcheggio per le forze di polizia), con una sorpresa però a me poco gradita: verrà costruita sì una moschea, ma non quella avveniristica progettata dall’architetto Ahmet Vefik Alp e invece una moschea dalle forme ottomaneggianti (nel materiale per la stampa che mi è stato invitato si parla di “art déco”: ma ho qualche perplessità in merito…). Sono deluso, sì: perché – come avevo scritto nel post “Le moschee di Istanbul, la Cumhuriyet camii di piazza Taksim” – il progetto prevedeva anche “un centro culturale con biblioteca, tre piani – dei 7 piani interrati previsti, 2 sono adibiti a parcheggi – dedicati a un museo delle tre religioni monoteiste“; il progetto che verrà realizzato è infatti di soli 3 piani, con parcheggio ovviamente interrato più spazio per conferenze e sala per mostre.
Spero solo che, con tutti i problemi della Turchia del 2017, a nessuno venga in mente di inscenare le solite distruttive proteste di piazza: ma ovviamente mi aspetto, in Italia, i soliti articoletti che denunciano – lo fanno da 15 anni, dopotutto – il fenomeno della cosiddetta “islamizzazione” (al quale, nonostante tutti i miei sforzi, non riesco ancora a dare un significato preciso).