Abbiamo approfittato di una delle domeniche prima dell’inverno – che l’anno scorso è stato siberiano – per una gita fuori porta nel parco di Yıldız (in turco, stella). Beh, fuori porta mica tanto: nel senso che il parco si trova poco dopo Beşiktaş e il palazzo ottomano di Dolmabahçe, sulla sponda europea di Istanbul; ma sembra di essere altrove, perché il parco non è un giardino all’italiana ma è quasi integralmente coperto da alberi di alto fusto: un vero e proprio bosco, attrezzato con tavoli da pic-nic che immagino vengano presi d’assalto d’estate.
Dato il clima non particolarmente mite, dopo una passeggiata dal mare salendo su per la collina ci siamo rifugiati in sequenza negli edifici voluti dal sultano Abdülhamid II a fine ottocento, che vi aveva trasferito la sede imperiale considerando Dolmabahçe – proprio sulla riva – non particolarmente sicuro. Probabilmente aveva ragione: in ogni caso il panorama sul Bosforo e fino a Kadıköy è una meraviglia, io passerei pomeriggi interi a gustarmi le navi in transito.
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Gli edifici, dicevo. Prima tappa, il chiosco Çadır: un piccolo edificio trasformato in caffé, con una vista interessante ma non superba. Passare velocemente oltre. Seconda tappa: lo chalet – chiamato proprio così, voleva ricordare quelli svizzeri – in cui risiedeva il sultano, oggi museo (aperto tutti i giorni tranne il lunedì e il giovedì, d’inverno dalle 9 alle 16.30; costo del biglietto, 5 lire turche).
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E’ stato costruito in tre fasi, le ultime due sotto la guida dell’architetto italiano Raimondo D’Aronco; è praticamente tutto in legno e finemente decorato: anche con opere di Fausto Zonaro, il pittore orientalista sempre italiano che lavorò alla corte ottomana. Ospitò per due volte l’imperatore tedesco Guglielmo II, poi dagli anni ’50 agli anni ’70 alti dignitari in visita ufficiale (come Aldo Moro). Si entra in piccoli gruppi ogni 15 minuti, la guida è compresa nel prezzo: una visita di grande suggestione.
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Terza e ultima tappa, il chiosco Malta: più grande e architettonicamente più significativo del Çadır, con una vista notevole. E’ stato trasformato in caffé e ristorante, noi abbiamo avuto la fortuna di trovar libero il tavolo migliore: all’interno, addossato a una finestra sul Bosforo, uno schermo come un quadro – oggi i colori erano tenui e soffusi, un invito al vagabondaggio della mente.
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Si mangia anche bene e a prezzi modici, la gestione – come per altri edifici storici (parlerò man mano di tutti) – è di una società della municipalità di Istanbul, la Beltur: nel menu, anche qualche piatto della tradizione ottomana (avviso: non servono alcolici). Ma il consiglio è di andarci il sabato o la domenica mattina, per la ricchissima colazione a buffet: c’è chi se la fa bastare anche per pranzo e cena (dalle 9 alle 13.30, ovviamente non ha senso arrivare all’ultimo).
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