Come ho spesso raccontato sul blog, sui media italiani la realtà turca viene non solo mistificata ma completamente ribaltata: anche nel campo delle politiche culturali, perché mentre nel mondo reale si aprono nuovi musei e si continuano a organizzare prestigiosi festival e rassegne di livello internazionale, sui nostri grandi quotidiani si legge invece che il governo turco distrugge la cultura.
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L’ho raccontato sul blog, da oggi comincio a spiegarlo in modo giornalisticamente più serio su Il Giornale delle Fondazioni: con un primo articolo in cui offro uno sguardo d’insieme, poi ogni mese con un approfondimento (sempre con interviste a personalità del settore, ovviamente).
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Ecco alcuni passaggi significativi del mio articolo, che vi chiedo di condividere così da aprire una bella discussione:
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Nuovi musei archeologici di rilevanza mondiale, nuovi musei privati di arte contemporanea, il nuovo teatro d’opera a piazza Taksim a Istanbul, il nuovo museo civico dedicato alla storia plurimillenaria della capitale prima romana e poi ottomana, nuove edizioni di biennali e festival, nuove inclusioni annuali nella Lista del patrimonio dell’umanità dell’Unesco, nuovi progetti di avveniristico pregio architettonico. I grandi gruppi industriali sono scesi in campo rinnovando una forte tradizione filantropica.
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Assumere questo ruolo prominente è stato – ed è sempre più – pressoché una scelta obbligata, nel contesto turco: lo Stato non è in grado di soddisfare la domanda di cultura in maniera adeguata, soprattutto in virtù di finanziamenti erogati con estrema parsimonia. Inoltre, c’è un sostanziale scollamento tra pubblico e mecenati: tranne rari casi, non esiste una strategia condivisa per incentivare le industrie creative, anche solo per trasformare la cultura in strumento incisivo di public diplomacy e soft power (l’immagine della Turchia all’estero ne risente pesantemente).
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Quella delle fondazioni che fanno cultura e che sperimentano nuovi modelli di gestione è una realtà che si conosce molto poco, al di fuori della Turchia. Eppure, raccontarne da vicino le attività e le scelte strategiche, spiegarne i meccanismi di funzionamento e ascoltarne i finanziatori e i direttori artistici può essere molto utile per comprendere un Paese – oggi lacerato, minacciato da conflittualità interna ed esterna – che rimane decisivo negli equilibri geopolitici del Mediterraneo orientale e nei rapporti tra il mondo occidentale e il mondo islamico.
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L’articolo completo potete leggerlo su Il Giornale delle Fondazioni.