L’ho già scritto, mi ripeto: la cosa che davvero mi preoccupa per il futuro è questo scarto clamoroso tra come la Turchia sta metabolizzando e trasformando in simbologia politica l’epopea del 15 luglio (sì, epopea: la gente che è andata a combattere disarmata contro i carrarmati è un’epopea, è un evento fondante della comunità nazionale turca) e come invece i fatti vengono selezionati e raccontati nei paesi occidentali, facendo invece più che altro riferimento ai cosiddetti “diritti umani” e a “derive islamiste” inventate di sana pianta. Insomma, da una parte che chi piange i propri martiri ed esalta i propri eroi, dall’altra chi grida all’islamizzazione e alla violazione di diritti. Non c’è né capacità né voglia di comprendere quanto sta accadendo in Turchia.
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Un esempio fra moltissimi: il ponte sul Bosforo – quello occupato dai golpisti la sera del 15 luglio, quello dove i golpisti hanno sparato sulla folla – già formalmente ribattezzato “ponte dei martiri del 15 luglio” (15 Temmuz Şehitler Köprüsü: la fermata del bus è così marchiata, così annunciata dalla voce registrata). E’ un fenomeno molto interessante, si sta creando una memoria collettiva attraverso rituali, monumenti, toponomastica (tema perfetto per una tesi di dottorato). Ma chi ne ha parlato, sulla stampa “occidentale”? Perché passare silenzio ciò che è collettivamente rilevante, ciò che determina il modo in cui i cittadini turchi percepiscono la realtà, invece di concentrarsi su aspetti qui considerati marginali o comunque secondari (al netto delle sciocchezze islamofobe su “veli” e “uomini barbuti”)?
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