
Quel che è successo negli ultimi giorni è surreale. Un giornalista italiano che si occupa di Turchia – io, cioè – ha invitato dei colleghi a fornire fatti concreti e riscontri (non “prove”; se avessi voluto intendere “prove”, avrei scritto “prove”) per le accuse di “terrorismo” lanciate contro il presidente turco Erdoğan.
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Ma non è una richiesta banale, la mia? Non è banale chiedere a chiunque di fornire elementi a sostegno della propria tesi? E non è ancora più banale – questa richiesta – quando è rivolta a un giornalista, che ha il compito di informare i propri lettori o ascoltatori in modo quanto più attinente possibile alla realtà dei fatti?
Fatti, non “verità”; elementi concreti, non “prove”. Quello che ho chiesto, in sostanza, non sono prove inconfutabili che dimostrano in modo inequivocabile e inoppugnabile che X ha torto e che Y ha ragione. No, non ho questa pretesta: e dopo tutto, anche i fatti sono comunque oggetto di interpretazioni molteplici. Quello che ho chiesto – ribadisco – è di fornire ALMENO dei riscontri, ALMENO un ragionamento fondato su rigorose catene logiche e non su fantasiosi salti logici.
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Quel che è accaduto dopo, dicevo, è surreale. Innanzitutto, alcuni dei colleghi tirati in ballo – e dei loro sodali – hanno scelto di attaccare non l’autore del pezzo (cioè me), ma il direttore di La Luce: Davide Piccardo, musulmano. E’ stato forse questo, il motivo della scelta? Lui è musulmano e anche politicamente esposto, mentre io sono cristiano e per di più sconosciuto? Vabbè.
Arrivo al dunque. La mia richiesta di fatti e riscontri ha prodotto accuse – tutte inventate di sana pianta – di: minacce, insulti, aggressione, fatwa, jihad. Si sono attivati – oltre ai quotidiani Il Giornale, Libero, L’Opinione e siti vari – anche gli ex ministri e attuali leader di partito Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno espresso la loro solidarietà. Capite? Solo per aver sollecitato FATTI e RISCONTRI.
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FATTI E RISCONTRI che sono diventati, in un crescendo di sfacciata manipolazione (e per fortuna che c’è un testo scritto!): minacce, insulti, aggressione, fatwa, jihad. Che poi: “fatwa” e “jihad”? Solo perché la pubblicazione è il riferimento della comunità islamica italiana e perché il suo direttore è musulmano – anzi, “mussulmano”: come sono soliti scrivere – si scomodano “fatwa” e “jihad”? E poi sono io che esagero quando parlo – in generale – di pregiudizi e islamofobia?
C’è chi è andato però molto e pericolosamente oltre. Cito, da due siti:
“E’ iniziata così per quelli di Charlie. E anche per il professore a Parigi. Qualche predicatore islamico che he ne denunciava la cosiddetta ‘islamofobia’, e poi il resto lo sapete.”
“Una chiamata prontamente raccolta da decine di seguaci, per ora fortunatamente solo verbalmente. In un’Europa scossa dagli attentati di matrice islamica, non si può non ricordare come l’assassinio di Samuel Paty, il professore francese decapitato da un estremista islamico per aver mostrato in classe delle vignette satiriche su Maometto, sia maturato proprio a seguito di una mobilitazione sui social”.
Insomma: siamo partiti da una richiesta – la mia – di fondare accuse di “terrorismo” su fatti e riscontri concreti, siamo passati per le minacce e le aggressioni e per la fatwa e il jihad, siamo arrivati alla violenza e alle teste tagliate.
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Preciso – ma ce n’è davvero bisogno? – che il mio invito a “contrastare il flusso incontrollato di antipatica disinformazione” (sulla Turchia) nulla ha a che vedere con minacce, insulti, aggressioni, fatwa, jihad, violenza e decapitazioni; né con “mobilitazioni” di alcun tipo: e mica sono un capopopolo!
Cioè, se avessi voluto lanciare una mobilitazione l’avrei fatto, no? Solo per fare un esempio: un sito di sostenitori di Israele – Informazione Corretta – invita chi ne condivide le finalità politiche a contattare giornalisti sia per congratularsi, sia per protestare, sia per correggere errori fattuali. Se però un musulmano – e neanche lo sono – ragiona ipoteticamente sull’opportunità di contrastare la disinformazione sulla Turchia, allora è la fatwa, il jihad, le decapitazioni. Se l’argomento non fosse serio e se non ci fosse in gioco la vita di persone, ci sarebbe da ridere fragorosamente.
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E capisco benissimo le esigenze e il taglio del giornalismo militante, come le asprezze della lotta politica: ma tutti quelli che hanno mosso queste assurde accuse, non hanno un minimo esagerato? Poi, tra persone civili, ci si può sempre rendere conto di aver sbagliato e chiedere scusa: non a me, ma a Davide Piccardo che ha subito un vergognoso linciaggio mediatico. A lui, la solidarietà chi gliel’ha offerta?
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