I media locali oggi riportano dati sulla campagna pubblicitaria “Turkey Home“ – lanciata 3 anni fa per promuovere il turismo – e sui risultati raggiunti online. Parlano di oltre 6 milioni e mezzo di follower vari: 4.870.000 su Facebook, 767.000 su Twitter, 481.000 su Google, 361.000 su Instagram, 32.000 su YouTube, 14,000 su LinkedIn e 6.280 su Pinterest.
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Io ribadisco tutte le mie perplessità. Innanzitutto, viene evidenziata esclusivamente la dimensione quantitativa: per l’appunto, il totale dei followers. Ma qualcuno si è preoccupato di studiare l’impatto di questa presenza online? Se cioè c’è stato un impatto positivo, se il materiale diffuso online ha modificato la percezione dell’opinione pubblica – storicamente negativa, manipolata in senso ostile – sulla Turchia?
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Inoltre, queste campagne veicolano prevalentemente immagini da cartolina e un’idea idilliaca della Turchia: paesaggi incontaminati, luoghi storici più o meno famosi, soprattutto spiagge&mare, cucina tradizionale. Ci si rivolge al turismo di massa, non trovano posto quei servizi di qualità – hotel di lusso, ristoranti con ricette e presentazioni rinnovate – che potrebbero contribuire a raggiungere potenziali visitatori più esigenti e dal potere di spesa maggiore.
A proposito di spesa, tra l’altro, mi piacerebbe scoprire quant’è che la Turchia ha speso complessivamente per questa campagna.