The Last Guardian (PS4) – Recensione

Introduzione

Se seguite il mondo dei videogiochi con continuità già conoscerete vita, morte e miracoli di The Last Guardian, titolo in esclusiva per PS4, diretto da Fumito Ueda, già autore (sempre per Sony) degli acclamati Ico e Shadow of Colussus sulla compianta Playstation 2; se invece non siete avvezzi a questa fantastica industria sappiate che The Last Guardian è un gioco che ha pesantemente rischiato di non vedere mai la luce, finendo nel pozzo senza fondo del vaporware, e che Sony, con uno slancio eroistico, ha ripreso per i capelli coinvolgendo nuovamente il sopracitato Ueda il quale, nel frattempo, aveva anche salutato mamma Sony fondando uno studio tutto suo.

Presentato in pompa magna all’E3 del 2009 (ma in sviluppo da almeno un paio di anni prima), The Last Guardian è finalmente uscito per PS4 nel dicembre del 2016, dopo ben 10 anni di travagliata programmazione. Andiamo a scoprire se una così lunga attesa è stata ripagata con una produzione degna del nome dell’autore che porta… e se Sony potrà affermare di aver speso bene i (tanti) soldi investiti – con una caparbietà molto giapponese – in questo progetto.

Storia

Un bambino intorno ai dieci anni si risveglia all’interno di una caverna: apre gli occhi, è leggermente stordito, non sa dove si trova, si guarda intorno; accanto a sé vede un essere venti volte più grande di lui, in parte gatto, in parte cane e in parte volatile. La fiera pare anch’essa in stato di semi-incoscienza, è dolorante, ha ferite un po’ dappertutto, anche le ali sembrano malconce. La bestia ha una maschera di ferro sul viso, ed è legata con una grossa catena ad un perno al centro della caverna stessa. Il bambino gli si avvicina, ma la bestia appare sulle prime ostile; quello però insiste, gli estirpa dalle carni delle lance, gli avvicina dei barili che l’animale ingoia con avidità. La bestia si rialza, ma i suoi movimenti sono limitati dalla grossa catena; il bambino si dà da fare, si ingegna e riesce finalmente a togliere maschera e catena. Tra i due nasce immediatamente un sodalizio che sarà al centro dell’intera storia, nonché del gameplay del gioco stesso. Il bambino si affida alla fiera per superare ostacoli altrimenti insormontabili, per raggiungere altezze improponibili, per combattere nemici contro i quali, viceversa, soccomberebbe. La bestia fa affidamento sul ragazzo come guida tra i meandri di questa fortezza antica, decadente ed intricata, dove non si odono rumori e dove non si vedono altri esseri viventi. Inizia – letteralmente – una lunga scalata che porterà il bambino a scoprire i motivi che lo hanno condotto in quella sperduta e misteriosa – nonché apparentemente disabitata – fortezza.

Grafica

Dal punto di vista tecnico, siamo chiaramente di fronte ad un gioco proveniente da un’altra generazione videoludica: lo testimoniano le strutture poligonali (imponenti si ma poligonalmente povere rispetto ai canoni attuali), le texture in gran parte in bassa risoluzione, l’assenza di effettistica degna di nota. Il frame rate a tratti inspiegabilmente ballerino, specie quando il motore grafico si trova a dover gestire strutture complesse in spazi imponenti, chiude la carrellata dei difetti grafici (e tecnici in generale) che non possono passare inosservati. Hanno invece goduto di un trattamento speciale le trasposizioni dei due protagonisti: le animazioni del ragazzo sono praticamente perfette, quasi disneyane, per non parlare di Trico, una vera festa per gli occhi per qualità e varietà delle animazioni (vedere ad esempio la resa del piumaggio incredibilmente realistica e reattiva agli agenti atmosferici quali il vento). Le movenze dell’animale, in definitiva, sono sbalorditive: per tutto il gioco è difficilissimo imbattersi in un’animazione uguale all’altra, la capacità di sorprendere con una reazione inattesa è altissima e si intuisce la ricerca spasmodica della perfezione da parte dei programmatori in tale ambito. Probabilmente Trico su una PS3 non sarebbe stato così meraviglioso.

A fronte della magnifica programmazione della bestia, fa da contraltare uno degli aspetti peggio riusciti della produzione, ossia la gestione della telecamera: in parte automatizzata, è imprecisa nonostante sia gestibile tramite l’analogico destro, fatica costantemente nel fornire al giocatore la visuale migliore arrivando ad essere frustrante e, in taluni frangenti, minando parzialmente l’esperienza di gioco. C’è da dire che la problematica si riduce sensibilmente mano a mano che le ambientazioni di gioco si fanno più ariose; ciò non toglie che spazi angusti e ostacoli di qualsiasi tipo mandano in tilt troppo facilmente la telecamera. La visuale ha poi la tendenza ad aggiustarsi automaticamente per ricomprendere nella stessa inquadratura sia il bambino, sia Trico: la sensibile differenza di dimensioni dei due protagonisti complica nettamente le cose; qui, probabilmente, la rinuncia al suddetto movimento automatico avrebbe giovato alla gestibilità complessiva.

Merita invece un discorso differente la direzione artistica, che richiama fortemente i precedenti lavori di Ueda; sono ravvisabili in ogni dove richiami ed influenze – oltre alla già citata Disney – della migliore animazione giapponese (Studio Ghibli), nonché atmosfere di zeldiana memoria. Rimane il fatto che The Last Guardian è un titolo artisticamente affascinante, leggiadro e poetico, misterioso come le antiche strutture in pietra in cui si svolgono gli eventi di gioco, impressionante come i panorami che riesce ad offrire al giocatore. Da questo punto di vista, obiettivo centrato in pieno da Ueda e Japan Studio.

Sonoro

Contribuisce all’atmosfera di mistero che aleggia per l’intera avventura l’assenza di un qualsiasi tipo di accompagnamento musicale durante le fasi normali di gioco. Le musiche, infatti, subentrano soltanto in determinati frangenti, ad esempio per sottolineare una situazione di pericolo, o in quelli destinati a far progredire la trama. Diciamo che le composizioni musicali, pur presenti, sono forse troppo “diluite” nell’arco dell’avventura, rendendole poco gustabili: da qui si spiega il motivo per il quale dalla colonna sonora è stata ricavato un album. Gli effetti sonori sono tutti convincenti: il gioco è sottotitolato, i pochi dialoghi – come anche la voce narrante – sono completamente in giapponese, mentre il campionario di versi di Trico è vario e ben realizzato.

Gameplay

L’avventura del ragazzo e di Trico si sostanzia in un gameplay tradizionale da action-adventure, particolarmente incentrato sulla risoluzione di enigmi ambientali risolvibili sbloccando meccanismi scalando pareti o catene, tirando leve oppure utilizzando i poteri associati allo scudo in dotazione al ragazzo (di cui tuttavia dovrete fare a meno per ¾ di gioco). Il fluire degli enigmi è continuo e ben concepito: sono poche le volte nelle quali rimarrete bloccati; ovviamente per venirne a capo, centrale sarà l’attenta osservazione di tutti i dettagli degli ambienti di gioco. Nel corso dell’esplorazione di vitale importanza sarà, per superare gli ostacoli più difficili e raggiungere le altezze più improbabili (il gioco si sviluppa principalmente in verticale), il rapporto tra il bambino e l’animale: a Trico potranno essere infatti impartiti ordini (in maniera più precisa mano a mano che si va avanti nell’avventura) e, soprattutto, il ragazzo potrà salire sul dorso dell’animale e sfruttarne l’altezza per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. La meccanica della scalata del dorso dell’animale è tanto centrale nell’economia del gioco, quanto minata da un’imprecisione nell’interazione tra i poligoni che compongono il manto della bestia e quelli che compongono il giovane umano. Questo difetto ci conduce a parlare di quello che è il problema principale riscontrato nel gameplay, e cioè la cronica mancanza di precisione del sistema di controllo, che definire ingessato è riduttivo, afflitto com’è da un evidente lag nella risposta ai comandi impartiti dal giocatore: spesso, infatti, sarete costretti a pigiare più volte il tasto per vedere concretizzata la relativa azione sullo schermo. Un limite non da poco, che certamente rivela la progettazione assai risalente nel tempo (parliamo pur sempre di 10 anni), nonché i vari problemi di programmazione che hanno contribuito a dilatare enormemente i tempi della release del titolo. Insieme alla telecamera imbizzarrita – e alla realizzazione tecnica “fuori tempo massimo” – sicuramente quello della macchinosità del sistema di controllo è il difetto maggiore di The Last Guardian. Difetti che difficilmente digeriremmo nel 2017 in un’esclusiva first party di Sony.

The Last Guardian non vi darà la possibilità di combattere direttamente gli avversari contro i quali vi imbatterete: ad esempio, sarà Trico ad incaricarsi di sconfiggere le misteriose statue di roccia animate che cercheranno ogni volta di afferrare il ragazzo per condurlo in altrettanto inspiegabili porte blu. Durante questi combattimenti, il ruolo del bambino sarà quello facilitare il lavoro della bestia (facendo perdere l’equilibrio al nemico, ad esempio) e di impartire a quest’ultima i comandi di attacco mediante la meccanica della luce blu emessa dallo scudo: la fiera è infatti in grado di disintegrare nemici e parti di strutture (prestabilite) attraverso un raggio laser emesso dalla coda (!).

Longevità

Potrete terminare The Last Guardian in circa 15 ore, una durata più che dignitosa per un’avventura di questo tipo. I giocatori più smaliziati potrebbero metterci anche qualche ora di meno, mentre per tutti gli altri si potrebbe arrivare anche alle 20 ore (alcuni passaggi poco intuitivi potrebbero farvi soffermare un po’ più del dovuto). Il titolo non offre extra, né collezionabili particolari; non aspettatevi percorsi alternativi: le deviazioni sono poche e utili alla raccolta dei barili di cui si ciba il nostro amico a quattro zampe. The Last Guardian non è un gioco che spinge alla seconda run: è un titolo da giocare tutto d’un fiato, da godere per le emozioni e per il sense of wonder della prima volta.

Commento Finale

Se pensate a The Last Guardian come ad una produzione “tripla A”, potreste non giustificarne appieno gli evidenti difetti ed imperfezioni, e mi riferisco particolarmente alla realizzazione tecnica “anzianotta”, alla telecamera spesso ingestibile e ai comandi imprecisi e poco reattivi (nonché forse ad un’assenza di contenuti riempitivi di varia natura). Potreste invece essere portati ad accostare The Last Guardian ad un costoso indie, e allora chiuderete gli occhi sugli aspetti negativi appena elencati, facendovi prendere dal mistero che aleggia intorno alla storia, dalla magnificenza delle strutture e al rapporto tanto profondo quanto ben concepito e realizzato tra il giovane e l’animale. Per chi ama i videogiochi – ed ha apprezzato i titoli partoriti dalla fantasia di Fumito Ueda – The Last Guardian è una sorta di miracolo videoludico, soprattutto perché avrebbe potuto non uscire mai. E invece è qui, ora, tra di noi, e possiamo goderne appieno le atmosfere leggiadre e il modo dolce col quale le avventure del giovane e di Trico vengono sussurrate all’orecchio del fortunato videogiocatore.

VOTO FINALE: 8

By Il Cimmo

Pubblicato da babelblog

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