101 cose da fare a Londra almeno una volta nella vita: intervista con l'autore di una delle più interessanti guide su Londra degli ultimi anni

Su Londra saranno state scritte centinaia di guide. Alcune interessanti, molte noiose, spesso contenenti informazioni ormai alla “portata” di qualsiasi smart phone e di conseguenza semplicemente inutili. Nella prima categoria rientra senza dubbio “101 cose da fare a Londra almeno una volta nella vita” di Giacomo Besenghi (pubblicato un paio d’anni fa dalla Newton Compton nell’ambito della collana “I 101”), che riesce nel difficile intento di essere utile anche a chi a Londra ci vive e non è semplicemente in visita turistica. Il libro suggerisce una serie di “esperienze” londinesi piuttosto che uno sterile elenco di “cose da vedere”.  E’ una guida che fornisce una prospettiva originale della città, ma senza voler essere “alternativa” a tutti i costi: i “must” di ogni visita alla capitale inglese ci sono tutti, ma vi sono raccontati nel modo in cui meno ve lo aspettate.
Ecco una breve intervista con l’autore:
Da quando il libro è stato pubblicato hai scoperto qualche altra “cosa da fare a Londra” che secondo te avrebbe meritato un posto tra le 101?
Una delle difficoltà nello scrivere questo libro è stata “tagliare”. Londra offre molte più cose rispetto alle 101 scelte per esigenze “di collana”; poco dopo la pubblicazione ho visitato la Union Chapel a Islington, una chiesa neogotica del tardo Ottocento in cui ho assistito a un concerto unplugged di Ani DiFranco. Non c’ero mai stato prima, ma la distribuzione interna dello spazio, l’atmosfera intensa e l’acustica accattivante mi diedero molto da pensare su come e se avrei potuto annoverare questo luogo tra le 101 cose da fare.
Quali “cose da fare” ti sentiresti di consigliare a un turista che è a Londra per sole 24 ore?
Il viaggiatore di città deve secondo me fare anche un po’ il turista, soprattutto per la prima visita ed è per questo che vari capitoli del mio libro esplorano percorsi classici. Un novizio assetato di conoscenza (o di birra) a Londra per sole 24 ore può, dividendosi tra West End e South Bank, passeggiare gratuitamente per musei (alcuni imprescindibili come Tate Modern e National Gallery), comprendere quanto sia elegante Piccadilly Circus (immaginata al netto di neon, piccioni, traffico e umanità), divorare un full english breakfast, servito a tutte le ore, e smaltirlo camminando lungo il Tamigi godendosi le architetture che vi si affacciano o la vista dal London Eye; e per riposarsi, prima di andare a vedere un musical a Soho o un dramma shakespeariano al Globe, non c’è niente di meglio che sedersi a sorbire il tè pomeridiano o una selezione di ale tradizionali. Direi che per 24 ore può bastare.
Ti sentiresti di fare un “update” su uno dei capitoli? Ad esempio, pensi ancora che il miglior Fish & Chips sia quello di Master’s Super Fish a Waterloo e il miglior ristorante dove mangiare indiano il “Lahore Kebab” a Commercial Road?
Bar e ristoranti possono cambiare gestione o chef e a volte capita che un aggiornamento si renda necessario. Alcuni lettori, ad esempio, mi hanno contattatto su Facebook per dirmi che la cheesecake non è più il pezzo forte della Hummingbird Bakery (e a me piacque molto quando la provai), mentre per stare in tema di cibo e sul tuo esempio… non è facile sbagliare un Fish & Chips a meno di inzupparlo oltremodo d’olio. Pero, al di là della bontà del piatto che suggerisco nel libro, c’è da considerare l’atmosfera che si respira nel locale in cui lo si mangia, e quella non è cambiata; il Lahore Kebab House, poi, continua ad essere uno dei miei ristoranti indiani preferiti, dove vale la pena andare fosse anche solo per ordinare le loro speziatissime  costolette d’agnello – il capitolo in cui ne parlo si intitola “Imparare il vero significato della parola piccante”. Uomo avvisato…
Grazie al tuo libro ho scoperto due piccoli ma interessantissimi musei come l’Horniman Museum el’HunterianMuseum: dopo tanti anni trascorsi a Londra, ti capita ancora di “scoprire” posti di cui non avevi mai sentito parlare?
Devo ammettere che anch’io ho scoperto tante cose “grazie al mio libro”, nel senso che ci sono posti in cui non ero mai stato o esperienze che non avevo mai preso in considerazione prima di mettermi a fare ricerche più approfondite – uno su tutti, la Wilton Music Hall.
Da appassionato di architettura, non mi stanco mai di girare per Londra e provare a scorgerne i lati nascosti: la City è un perfetto esempio della costante evoluzione di questa metropoli in cui l’erezione di un nuovo grattacielo cambia strade e passaggi nella zona circostante e non solamente lo skyline della città. Recentemente ho scoperto l’esistenza di Container City, un esempio interessante architettura modulare nell’East End su cui scriverei volentieri il centoduesimo capitolo.
La prima cosa di cui ti sei “innamorato” durante i tuoi primi giorni a Londra …
Fiume e canali. Da sardo della costa meridionale, ho bisogno della vicinanza all’acqua e le passeggiate sul Tamigi, in centro come in tratti più periferici, o le esplorazioni sul Regent’s Canal mi hanno dato modo di osservare Londra da un punto di vista diverso, stando a contatto con questo elemento.
Da italiano trasferito a Londra: ti senti ormai pienamente “Londinese”? Quanto tempo ci vuole, secondo te, per iniziare a sentirsi davvero un cittadino londinese e non semplicemente un “ospite” della città?
Mi sento londinese. Pur sempre italiano, senza dubbio, ma ho fatto miei modi di vivere e di pensare di questa città in cui vivo, ormai da anni, assieme a più o meno altri tre milioni di persone nate fuori dal Regno Unito. Non credo ci siano tempistiche prefissate per dirsi londinesi; conta l’atteggiamento aperto con il quale si decide di rapportarsi alla città, poi succede che un giorno sai perfettamente come andare da Hammersmith a Dalston senza controllare mappa dei trasporti o smartphone, o cerchi di capire dove comincia la fila perché tanto sai che una fila da fare qui c’è sempre, oppure ti sorprendi a pensare che un BBQ col 70% di probabilità di pioggia è meglio che niente BBQ. E già hai portato a casa parte del tuo senso di appartenenza.

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