Una domenica ordinaria a Parigi

Ecco, con il titolo vi ho preparato, la mia domenica è stata, come lo è il più delle volte, una giornata ordinaria. Non ho scalato la torre Eiffel, né passeggiato sugli Champs-Élysées (che non trovo per niente belli, ma è solo una mia opinione), non sono salita sul Sacré Cœur né ho vagabondato tra i viali del Père Lachaise…insomma, per non annoiarvi oltre, voglio solo dire che dopo quasi tre anni di vita parigina, di cui due con marmocchio al seguito (il che complica un po’ le cose), non ho proprio più voglia delle mete turistiche parigine.

Però Parigi riserva sempre delle sorprese, anche quando esci per recarti nei paraggi del tuo quartiere.

Quindi vi dicevo che questa domenica, quando il pupo si è svegliato dopo la siesta pomeridiana, siamo usciti per raggiungere casa di un’amica catalana che abita non lontano da Montmartre.

Attraversiamo a piedi rue de la Goutte d’Or e lo square Léon, con i suoi fantastici cancelletti azzoppa-passeggino&mamma e siamo sul boulevard Barbès, un po’ meno trafficato del solito…per forza, è domenica. Ci infiliamo in rue de Clignancourt e subito intravediamo una folla radunatasi in strada, composta per lo più da africani, camionetta della polizia vicina e slogan gridati in direzione del commissariato. Mentre mi avvicino e mi chiedo cosa possa essere successo, intravedo una bandiera verde-bianco-arancione e comincio a immaginare. Chiedo a un gruppetto di persone poco distante dalla folla agitata sotto il commissariato. « C’era una manif a Charles de Gaulle (qui le manifestazioni le abbreviano come molte altre espressioni, vi ho già allertato più volte!)  per la pace in qualche paese africano – la Costa d’Avorio, penso io – e hanno arrestato due persone. Gli altri son venuti qua a chiedere che vengano rilasciati».

Continuo a camminare e arrivo a casa della mia amica. «Cuciniamo – mi previene appena entro – andiamo al pot de voisinage tra mezz’ora». Ah ottimo, dico io, pensando ai pot passati, letteralmente bicchieri di vicinato, in pratica cene a buffet dove chi vuole porta qualcosa da mangiare. I nostri pot si svolgono una volta al mese, in rue Eugène Sue, in una specie di bistrot vecchio stile che molti troverebbero triste ma che a noi in fondo piace.

Mi piace il barista (bistrottista??) con la faccia da buono e i baffoni, il barista più taciturno che abbia mai conosciuto, mi piace il legno con cui è rivestito completamente l’interno, mi piace la foto con Brassens, Brel e Ferré appesa al muro e mi piacciono i frequentatori-vicini di casa di questo pot. Ci sono i tipici personaggi parigini da bistrot (avete letto Zazie nel metrò?) e ci sono molti parigini d’adozione. Stavo parlando in italiano col mio bimbo, per esempio, quando un tipo mi fa «Eh, son d’accordo…». Ah, un italiano? «No… un po’, anche lui…» e mi indica un ragazzo che mi apostrofa pure lui in italiano.

Hi hi, son circondata! Ma no, mi spiega il ragazzo, lui ha la mamma italiana, per cui l’italiano lo parla piuttosto bene.

L’altro tipo, alla fin fine, non ho mica capito se era italiano o no, ma qui non ci si stupisce di certe cose. Incontrare connazionali o altri stranieri è pratica quotidiana.

Esco a recuperare la palla gonfiabile che mio figlio ha tirato per strada.  Qualcosa è cambiato, fuori…ah sì, non ci sono più i manifestanti ivoriani. Spariti in un quarto d’ora! La camionetta troneggia invece in mezzo alla strada.

Succede anche questo, la domenica, a Parigi.

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