La Cina nel sudest asiatico, quale 前景?

前景 (qiánjǐng) significa prospettiva futura, proprio quella che molti studiosi stanno cercando di immaginare per quanto riguarda le relazioni tra Cina e Sudest asiatico. I rapporti tra la Cina ed il sudest asiatico non sono mai stati semplici, basti pensare al sistema dei tributi da molti ritenuto un atto di sottomissione verso la corte imperiale cinese. In realtà le ambasciate giunte nella Cina imperiale avevano possibilità di commerciare e ricevevano a loro volta doni, in alcuni casi anche più preziosi dei tributi stessi. Gli imperatori esigevano quindi un riconoscimento formale, più che un vero e proprio atto di vassallaggio.

Questo per indicare la complessità dei rapporti internazionali della Cina di ieri, ma anche di oggi. Un recente studio condotto dall’istituto ISEAS di Singapore, mostra come nel consenso asiatico il consenso verso la Cina sia in calo, mentre risulta in salita quello verso gli Stati Uniti. La Cina risulta essere ammirata per la sua crescita, ma temuta per la sua forza cosa che a volta può creare forti tensioni politiche interne come avvenuto, ad esempio, in Laos nel 2016. A spingere i paesi del sudest asiatico verso gli Stati Uniti anche la fine della presidenza Trump, caratterizzata da un inasprimento nelle relazioni con Pechino.

Uno strumento molto utile per cercare di capire le vicende che vedono come protagonisti la Cina ed i paesi dell’area ASEAN è l’ultimo libro di Sebastian Strangio, un giornalista esperto di questo angolo di mondo: All’ombra del dragone. Il libro è diviso in capitoli, ognuno dedicato ad un singolo paese, in cui l’autore tenta di mettere allo scoperto quelli che sono i veri rapporti con il colosso cinese, andando oltre le politiche di facciata, una necessità ben nota a chiunque si occupi di Asia. Grande merito dell’autore è anche quello di far parlare in prima persona i protagonisti stessi delle vicende.

Strangio è uno specialista del giornalismo d’inchiesta, come appare ben chiaro da un suo precedente libro in cui si dedica a fare luce sulla figura di Hun Sen, il padre padrone della politica cambogiana. Quello che Strangio fa emergere i secolari, se non millenari, sentimenti nei confronti della Cina che attraversano il sud est asiatico, mostrando come se da un lato non si possa fare a meno di rapporti in cui si mescolano diplomazia e business, dall’altro la forza di Pechino è temuta come un fattore di forte instabilità sociale. Molto interessante anche vedere il ruolo svolta nel corso dei secoli dalle comunità locali di origine cinese.

Leggere questo libro significa andare oltre gli stereotipi che circondano la Cina e l’Asia, entrando in una dimensione in cui i rapporti con Pechino sono parte dello scontro politico e non qualcosa di metafisico, scoprendo anche le differenze tra cinesi emigrati all’estero e cinesi che all’estero ci sono invece nati. Comunità di cinesi che più volte hanno finito per pagare il prezzo di mutamenti politici violenti, accusate di essere più o meno una quinta colonna della Cina e dei suoi tentativi di influenzare politiche altrui. Basti pensare ai pogrom anticinesi in Indonesia al momento della caduta di Suharto o a più riprese in Vietnam.

Strangio riesce davvero a mettere sul tavolo moltissime tessere di un mosaico che non può essere ignorato, dagli interessi economici legati ai progetti della Nuova via della seta alla facilità con cui i governi centroasiatici, con un’abilità affinata nei secoli, sono pronti a sfruttare la loro posizione di vaso di coccio tra superpotenze nettamente più forti di loro. Anche la gestione dei conflitti territoriali nel Mar cinese meridionale, ovviamente non chiamato ovunque in questo modo, risulta un gioco di mosse e contromosse ben più sottile di quanto i media occidentali, a volte non del tutto disinteressati, tendono a far credere.

Tornando al sondaggio da cui siamo partiti, è bene che Pechino impari quanto la sua potenza possa far paura, il rischio è quello di perdere terreno rispetto all’eterno rivale Giappone, come successo in Africa. L’accusa costante mossa a Pechino è quella di fare i propri interessi che, in realtà, si incontra e scontra con la sua più grande lode, ossia il non immischiarsi negli affari altrui a differenza dell’occidente sempre pronto a inserire diritti umani e democrazia come contropartite di accordi economici e politici. Resta da vedere se la nuova dirigenza americana, dopo il disinteresse di Trump, possa essere un bene per il sudest asiatico.

Fonte immagine: Asiatimes.com