Parigi (NON) val bene una marenna!6 min read

Lo snobismo francese

I francesi pensano che la loro sia una specie di lingua sacra. È legittimo, per carità. Probabilmente credono che anche solo bisbigliare due parole in inglese faccia innervosire una qualche ancestrale divinità del sud-est asiatico (il che, se confermato, spiegherebbe i problemucci degli americani in quella parte del mondo qualche decennio fa, ma torniamo a noi). Sta di fatto che dire a un abitante di Parigi: “scusi, parla inglese?” rischia di generare più o meno la stessa reazione che avrebbe uno qualsiasi che si sentisse chiedere: “ma tua madre, esattamente, dov’è che batte?”.Insomma, sono stato a Parigi dal 24 al 31 gennaio per motivi di studio. Già esordire così, mi rendo conto, trasmette una noia mortale: sembra un rigo del curriculum del ministro Madia. In effetti, però, ho avuto pure modo di girarla un po’ e qualcosa da raccontare ce l’ho. Metto le mani avanti: non si tratta di una valutazione complessiva su Parigi ma solo il racconto di quel che ho visto e fatto.

Come protesta al fanatismo linguistico francese, quasi tutti i termini stranieri di questo testo saranno scritti così come si pronunciano, più o meno.

Torre Eiffel - inverno- Parigi
Parigi. Torre Eiffel, scorcio

Mangiare

Ho alloggiato presso l’Hotel degli Scrittori, vicino Plas d’Italì. La colazione in albergo costava 11 euro (coi quali a Napoli all’Università faccio almeno due pranzi), così facevo colazione al bar che stava esattamente attaccato all’albergo perché non avevo voglia di camminare molto, avendo però cura di non essere visto dallo staff del mio hotel: non so bene per quale motivo, mi dava fastidio essere così sfacciato; un eccesso di buona creanza non degna di “viaggi ignoranti”, lo so.

Ad ogni modo, tutte le mattine salutavo la signorona alla recepzion con lo sguardo di chi era diretto a Tallin, e poi superata la grande vetrata d’ingresso dell’hotel infilavo l’entrata del bar suddetto. Il bar era squallido (secondo me di notte ci giravano dei porn movies destinati al circuito underground, il velluto rosso e gli specchi sono inequivocabili rispetto a certe cose) e il tizio dietro al bancone quando ha capito che ero italiano, mi indicava il costo da pagare con l’indice puntato verso il numero luminoso del displei della cassa, pur di non rivolgermi la parola.

Ed io ero felice, perché appena sveglio non voglio parlare con nessuno se no mi incazzo, pure a Parigi. Finalmente un buzzurro come me. Comunque sei euro per baghètt, burro, marmellata, cruassan, succo d’arancia e caffè lungo. Uscito da “Er Zozzone” iniziavo a deambulare per la città.

colazione a -Parigi-
La colazione a Parigi

Il pane cafone contro la “baghètt”

Tutti quelli che vanno a Parigi generalmente dedicano molto spazio nei loro resoconti alla baghétt, ma io sinceramente non ho molto da dire. Erano buone, sicuramente, però la marenna napoletana nelle sue infinite modalizzazioni – col provolone piccante e la mortadella, oppure melanzane sottolio, prosciutto crudo e mozzarella, o ancora salsiccia e peperoni del fiume, ricotta e bresaola, etc. – mi pare assai più rimarchevole. E comunque niente può battere la bontà del pane che puoi comprare a nero sulle bancarelle la domenica nell’interland napoletano da rivenditori occasionali, cotto probabilmente col legno delle bare trafugate al cimitero di Torre Annunziata la sera prima.

La cena solitaria

Per la cena sono andato quasi sempre presso un ristorante italiano buono ma non scic, dove la prima sera da buon italiano intelligente che si trova in una capitale straniera mi sono fatto la pizza. Perciò poi ho mangiato sempre la pasta gli altri giorni. In una delle mie cene solitarie, un po’ uomo d’affari un po’ stupratore seriale, un connazionale seduto proprio accanto a me, che aveva tutta l’aria di essere proprio un rispettabile uomo d’affari in missione (il classico candidato al turismo sessuale thailandese post-divorzio) e parlava con accento vagamente toscano, fotografava ogni portata e poi commentava in tempo reale via uozzap con non so chi; la mano sinistra digitava lettere sul suo aifon mentre la mano destra portava cibo alla bocca; mi sono sentito un po’ solo, ma ero sollevato dal fatto che io per lo meno non avessi come commensale un cellulare.

Ah, ovviamente ho fatto amicizia col proprietario italiano. Ci siamo detti che l’Italia fa schifo, che le tasse sono alte, che Berlusconi ha il parrucchino e così via. I soliti discorsi lamentosi sul conto delle mogli pronunciati dai mariti quando sono languidamente innamorati.

Notre Dame - Parigi
In posa davanti a Notre Dame de Paris

Tricchi track

Il mio obiettivo primario a Parigi era la biblioteca “Giac Dussé” nella quale si trovano dei testi che mi occorrevano per i miei studi. Sto posto si trova proprio a Piazza del Panteon e così, il primo giorno, decido di vedermi un poco sto panteon. Arrivato all’ingresso l’impressione che ho è di trovarmi davanti alla casa di Arles, il Gran Sacerdote (se non sei nato negli anni ’80 sta cosa non la puoi capire) e inizio a scattare foto come un giapponese depresso.

D’improvviso vedo in lontananza agenti della polizia transennare un lato della piazza, fermare il transito delle auto e con postura allarmata fare ampi gesti minacciosi a un tizio che si sta avvicinando al loro lato ma che evidentemente non aveva capito niente di quel che stava accadendo, e più questo tizio si avvicina più questi energumeni alti come Desally (se non sei nato negli anni ’80 neanche sta cosa la puoi capire) gli intimano di fermarsi.

Il tizio a un certo punto capisce e si ferma e questo momento coincide con l’istante in cui io capisco che i poliziotti ce l’avevano proprio con me. Da cinque minuti mi stavano dicendo che dovevo cioncare le gambe lì dov’ero. La piazza era quasi deserta, e a quel punto raccolgo tutto il mio coraggio e rivolgendomi a uno dei pochissimi astanti pronuncio la domanda più pericolosa da fare se sei a Parigi: “Eschiuse muà, vu parlè anglè?” “Uì” “Assafà a maronna” “Du iu no uoz appening?” Il tipo mi spiega che c’è stato un allarme bomba in cinque o sei scuole superiori del centro della città, una delle quali si trova proprio lì nelle vicinanze, ma me lo dice con la calma di Mattarella che detta “Lupus et agnus” al nipote.

Paura e film

Porca miseria, ci si abitua a tutto. Con molta pacatezza e in un buon inglese, lo sconosciuto sulla cinquantina inizia a parlarmi del fatto che lì a Parigi ormai l’allarme attentato è cosa quotidiana, che i parigini ci convivono, che i ragazzi dell’esercito in giro sono purtroppo un arredo urbano costante e via discorrendo.

Camminavamo tra il Panteon e uno degli edifici della Sorbona, e nella mia testa comparivano schegge di Denzel Washington in “Attacco al potere”, non saprei bene spiegare perché. Ricordo distintamente che tornando in albergo, a piedi, attraversando Rù Decà, mi cadde l’occhio sulla vetrina di una piccola libreria, nella quale praticamente tutti i volumi parlavano di islam, religione e società, Dio e stato moderno e cose così, e pensai che spesso sottovalutiamo troppo quanto illuminanti possano essere i titoli dei libri esposti in una vetrina di una piccola libreria giù all’angolo rispetto agli epocali macrospostamenti culturali di un’intera civiltà. Q

uella sera avrei letto poi sull’Ansa che si era trattato di un falso allarme bomba, ma intanto Mentana ci faceva una maratona. E fu sera e fu mattina: primo giorno.

Parigi - pantheon
Parigi. Il pantheon

Alfonso Lanzieri