Il Cilento spagnolo: l’epoca vicereale.

Il Cilento spagnolo: l'epoca vicereale.
Torre Vicereale

La dinastia aragonese, che per un sessantennio aveva dominato l’Italia del Sud, termina con Federico I.

Le Guerre d’Italia, che videro Francesi e Spagnoli fronteggiarsi per il controllo dei domini nella Penisola, segnano infatti la fine dell’indipendenza del Regno di Napoli, che passò ad essere governato da potenze straniere e trasformato in Vicereame. Effimeri furono i primi due Viceré, nominati dal re francese: Louis d’Armagnac, Conte di Nemours, e Ludovico II del Vasto, Marchese di Saluzzo.

Il tentativo di annessione dei territori napoletani alla corona francese, materializzatosi con la discesa di Carlo VIII di Francia in Italia, sembrava compiuto, ma il Regno di Napoli era prioritario interesse per un’altra corona, che con la Francia avrebbe guerreggiato a lungo: la Spagna.

I territori di ciò che oggi chiamiamo Spagna si unirono per matrimonio e successiva discendenza: Isabella la Cattolica, regina di Castiglia, e Ferdinando II d’Aragona tennero formalmente separate le due corone, e il Regno di Napoli viene ad essere, così, parte dei domini aragonesi. Nonostante un accordo segreto franco – spagnolo, del 1500, i due eserciti si fronteggiarono ancora per i domini italiani, fino alla definitiva Battaglia del Garigliano, dove Gonzalo Fernández de Cordoba, “El Gran Capitán”, sconfisse le truppe francesi asserragliate a Gaeta.

Ferdinando il Cattolico lo nominò allora Viceré: egli fu il primo viceré spagnolo.

Da questo punto in poi, la storia del Cilento e di Napoli in generale si intreccia profondamente con la storia di Spagna, poiché la corona di Napoli diventa possedimento diretto dei sovrani iberici per circa due secoli.

Alla morte dei Re Cattolici entrambe le corone passarono all’erede legittima Giovanna la Pazza, che fu solo formalmente “regina proprietaria”.

Nei fatti, il potere passò a suo figlio Carlo V, destinato ad essere uno degli uomini più potenti della storia. All’eredità materna delle terre spagnole (Castiglia e Aragona, cui proprio allora si aggiunsero le Americhe appena scoperte) aggiunse l’eredità paterna: suo padre Filippo il Bello, morto appena ventottenne, era figlio di Massimiliano d’Asburgo, Sacro Romano Imperatore; gli toccarono quindi le Fiandre, la Borgogna, i territori olandesi, ma soprattutto un canale privilegiato per la corona imperiale (per la quale dovette essere eletto da una Dieta di principi elettori, visto che Massimiliano non era mai stato incoronato dal Papa, e non aveva perciò diritto a nominare un successore).

Così tanto potere non poteva non destare l’invidia di tutti gli altri potenti: la guerra permanente che Francesco I di Francia condusse quasi ininterrottamente contro Carlo V non poteva non avere come mira fondamentale la sottrazione dei ricchissimi territori italiani alla corona di Spagna.

Il Regno di Napoli, ormai un vicereame in quello che passerà alla storia come il periodo spagnolo, è a più riprese sotto minaccia francese: Carlo V, che ai francesi aveva già inflitto una cocente sconfitta a Pavia, vince anche a Roma (del 1527 è il Sacco di Roma, compiuto dai Lanzichenecchi al soldo proprio del Sacro Romano Imperatore), ma anche sotto costante minaccia, da Sud, delle scorribande turche: di quest’epoca, le torri costiere vicereali di avvistamento nel Cilento, incredibile esempio di architettura militare con funzione di protezione nonché di comunicazione.

L’idea di un sistema permanente di segnalazione e difesa è ben precedente al periodo spagnolo: il Cilento aveva già delle torri costiere di epoche anteriori, ad esempio la Torre Normanna di Acciaroli o la Torre Angioina di Velia, ed anche in epoca aragonese la costruzione di torri costiere continuò, in risposta agli attacchi dei pirati – nel 1464 era stata distrutta Molpa, stessa sorte toccherà a Palinuro e ai villaggi vicini nel 1531, a Policastro nel 1533, a Pisciotta nel 1543, ad Agropoli nel 1544.

In epoca vicereale, precisamente a partire dal 1532, queste strutture difensive costiere vengono riorganizzate. Il viceré di Napoli don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, marchese di Villafranca del Bierzo (1532-1553), iniziò infatti la costruzione di Torri costiere presidiate da militari muniti di catapulte ed armi da fuoco, tra cui almeno un cannone posto all’esterno.

La realizzazione delle Torri si rendeva necessaria per le continue scorrerie di corsari come Khayr al-Dîn, detto Ariadeno Barbarossa, grande nemico dell’ammiraglio genovese Andrea Doria, che distrusse nel 1544 Policastro, Bosco, San Giovanni a Piro, Santa Marina, Torre Orsaia e Roccagloriosa, e Turhud Rais, detto Dragut, che il 12 luglio del 1552 distrusse Camerota, Licusati e Lentiscosa, successore del Barbarossa nonché Grande Ammiraglio, ossia Kapudan Paşa, come il corsaro di origine genovese Scipione Cicala, catturato bambino dai Turchi e convertitosi per aver salva la vita, che diventato Giannizzero (dal turco yeni çeri, “nuovo soldato”) ebbe una folgorante ascesa: è lui il Sinan Kapudan Paşa cantato anche da Fabrizio De Andrè.

Quella vicereale è un’epoca di intrighi, amori, passioni, rimasti ancor vivi nei luoghi, e soprattutto nelle tradizioni e nella cultura comune.

La storia narra della sosta a Padula di Carlo V d’Asburgo, del suo esercito e del suo seguito, di ritorno dalla vittoriosa Battaglia di Tunisi contro i Barbareschi nel 1535 e dell’accoglienza che a loro fu riservata dal popolo e dai frati certosini che rifocillarono a lungo gli ospiti, fino a preparare per loro una enorme frittata di mille uova.

Ogni anno, la bellissima cittadina del Vallo di Diano ripropone l’evento “Padula in festa per Carlo V“. La manifestazione propone un itinerario storico, artistico e culinario tra le viuzze del centro storico con degustazioni, mostra dell’artigianato autoctono e spettacoli musicali per concludersi nello splendido scenario della Certosa di S. Lorenzo. Caratteristica, nonché quasi “d’obbligo”, è la preparazione con successiva degustazione della storica frittata delle mille uova.

Anche la vicina Sala Consilina rievoca lo stesso avvenimento storico, con una rievocazione chiamata “1535 Carlo V ne la Terra de la Sala”.

E se, come scrive Ariosto proprio in questo periodo, nel suo immortale Orlando Furioso, ci sono I Cavallier e l’arme, non possono mancare Le Donne e gli Amori.

Basta pensare a Doña Ana Mendoza de la Cerda, Principessa di Eboli, e soprattutto a Donna Sabella: la sua storia è stata eternata in una splendida canzone cilentana, che da quel tempo ai giorni nostri viene ancora cantata (ne esiste una versione sublime della Nuova Compagnia di Canto Popolare che si può ascoltare qui).

Donna Sabella, ossia Isabella Villamarino (Isabel Vilamarí) era rampolla di nobile famiglia catalana, figlia di Bernardo Villamarino, Grande Ammiraglio del Regno di Napoli. Dal padre ereditò il titolo di Contessa di Capaccio, con i feudi di Capaccio e Altavilla. Probabilmente amante di Carlo V al tempo del suo passaggio nel Regno a seguito della citata Battaglia di Tunisi, era sposa innamorata di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, uno dei principi più illuminati di tutto il Rinascimento europeo.

La loro corte era una fucina di artisti, letterati, intellettuali, e rivaleggiava per importanza con la corte dei d’Avalos a Ischia e perfino con la stessa Napoli; basti pensare che il segretario personale di Ferrante era Bernardo Tasso, padre del ben più noto Torquato, e che la cerchia di intellettuali che frequentavano il suo palazzo comprendeva nomi del calibro di Bernardino Rota, allievo di Jacopo Sannazaro, e di Galeazzo Florimonte, il vescovo di Aquino inventore del galateo, ma anche filosofi controversi come Scipione Capece e il cardinale Girolamo Seripando.

Con Ferrante e Donna Sabella, Salerno tornò ad essere una delle città più importanti di tutto il Sud, riesumando lo splendore dell’epoca longobarda e normanna, l’Opulenta Salernum di Guaimario. Ma, come per gioco del destino, questi due splendidi esempi di principi illuminati saranno destinati ad essere gli ultimi principi di Salerno.

Fu fatale per Ferrante il governo del viceré spagnolo Don Pietro di Toledo, “dispotico e prevaricatore dei diritti della nobiltà”, che lo osteggiò in svariate occasioni. In particolare l’odio di quest’ultimo aumentò quando Ferrante riuscì ad impedire che a Napoli venisse introdotto il Tribunale dell’Inquisizione, trattando direttamente con l’imperatore. Ferrante, messo in cattiva luce dal suo rivale, fu ispiratore della sommossa antispagnola di Capaccio, quindi costretto a rifugiarsi in Francia, mentre la Spagna confiscava i suoi beni.

Donna Sabella finì i suoi giorni sola e triste, separata dal suo amato. Uno dei suoi castelli è a Laureana Cilento.

Il Cilento spagnolo: l'epoca vicereale.
stemma del Castello di Laureana Cilento.

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

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