Il Cilento tra Borbonici, Napoleonici e Briganti.

Lapide commemorativa dei Moti del 1828 a Montano Antilia (fotografia di Gisella Forte)

Il periodo austriaco ha vita abbastanza breve: la corona di Napoli passa ai Borboni dando inizio al periodo borbonico, proprio con quel Carlo III cui si devono i lavori di costruzione della SS18 che riportarono alla luce l’antica Paestum.

In epoca napoleonica, il Cilento torna prepotentemente alla ribalta. Di nuovo, Francesi e Spagnoli. Di nuovo, da queste parti. Gioacchino Murat, che diviene Re di Napoli, adora Palinuro, vi soggiorna e arriva a dirne: “Dommage que ne soit pas une île!”, “Peccato che non sia un’isola”.

La tremenda repressione borbonica che segue segna l’inizio del periodo risorgimentale, e non solo nel Cilento, che è appunto il punto di partenza della storia risorgimentale europea.

Il Cilento è infatti uno degli angoli del triangolo rivoluzionario del Regno di Napoli, zona dove tra il 1820 e il 1860 si concentrano praticamente tutte le rivolte politiche continentali, non a caso scelto per le Spedizioni dei Bandiera e di Pisacane e poi per la marcia trionfale di Garibaldi verso la capitale del Regno. Il Cilento pertanto compone un mosaico estremamente articolato di penetrazione delle idee politiche libertarie: dopo il 1799 e la Rivoluzione Napoletana è la provincia a prendere le armi per ottenere un nuovo programma politico.

Stuart Woolf ha ricordato che la tradizione radicale del liberalismo è di tale forza da imporre, nel 1820, un processo costituzionale avanzato, potendo rivendicare una base di massa tale da ottenere il titolo di Alta Vendita carbonara. Il numero di affiliati è immenso, come le vendite e i giornali, quasi una prova di partito di massa, fondamentale per la futura storia del Mezzogiorno la cui eredità resterà ben oltre il marzo 1821.

I primi moti si hanno infatti nel 1821, poi nel 1828, quando i rivoluzionari del Cilento, esasperati dalle crudeltà borboniche, cominciano a lottare per un sogno visionario a quel tempo: l’Italia unita, in forma di Repubblica.

I protagonisti, come il Canonico De Luca o i fratelli Capozzoli, restano ancor vivi anche nella toponomastica delle strade.

Celle di Bulgheria, Bosco, San Giovanni a Piro…sono teatro di terribili massacri, compiuti al mando del generale Del Carretto, la cui ferocia è rimasta proverbiale. Le teste decapitate dei rivoltosi rimangono appese nelle vie dei paesi per vari anni, raccapricciante monito che il potere offre alla popolazione per far capire cosa succede ad alzarla, la testa.

Tanto è servito quel monito che, passato giusto il tempo necessario alla nuova generazione di crescere, nel 1848 scoppiano dei nuovi moti del Cilento. E ancor più vivo resta il nome di Carlo Pisacane e della sua spedizione del 1857, ammantata da una peculiarità che fa assurgere il nome del Cilento a simbolo di ribellione contro i governi dispotici.

Il grande regista Mario Martone ha girato proprio nel Cilento il suo bellissimo film dedicato all’Unità d’Italia “Noi credevamo”: in molte scene, è riconoscibilissima l’inconfondibile sagoma di Capo Palinuro.

Quando dopo l’Unità d’Italia diventa chiaro che, invece di una nuova era di libertà, ad un vecchio padrone se ne è sostituito solo uno nuovo, peraltro molto peggiore del già peggiore primo, comincia un’altra rivolta, passata alla storia come brigantaggio: nei fatti, si tratta dell’ultimo, disperato tentativo di un’intera classe sociale di non essere, ancora una volta, schiacciata.

Questa pagina di storia per decenni cancellata sta finalmente riemergendo, e notevoli sono le tracce visibili della riscoperta di questa identità: il brigante, figura per anni tacciata di delinquente, sta riprendendo il suo corretto ruolo storico, che è quello di antesignano della lotta di Resistenza che circa 80 anni dopo avrebbe portato una generazione intera sulle montagne dell’Appennino, a lottare contro il fascismo e il suo alleato, nazista ed invasore. Le spolette partigiane hanno avuto nelle brigantesse le loro uniche antenate: esse sono state infatti le prime donne libere a imbracciare un fucile contro l’oppressore.

Come spesso succede, ciò che si vuole cacciare dalla porta rientra dalla finestra: la storia che si voleva cancellare dai libri è rimasta viva nella memoria orale, nelle canzoni, nelle filastrocche che si recitano ai bambini… nella cultura popolare che spesso è autentico scrigno di tesori altrimenti perduti e che oggi sta recuperando la memoria di quei fatti, anche attraverso iniziative sul territorio come feste ed eventi. Inoltre è ancora possibile rivedere le grotte dove i briganti si nascondevano, seguire gli itinerari dei loro spostamenti, oggi percorsi di trekking, e visitare i luoghi che tanta storia hanno visto: dall’interno alla costa, i possibili urban trekkings sono praticamente infiniti.

brigantessa, 1860 circa

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

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