Itinerari cilentani – Dalle sirene ai pirati saraceni: Punta Licosa.

“Chi navighi il golfo, da Poseidonia, vede l’isola di Leucosia, a breve distanza dalla terraferma, il cui nome prende da una delle Sirene qui caduta dopo che esse, come si racconta, precipitarono nell’abisso del mare. Di fronte all’isola sta il promontorio antistante alle Sirenusse, che forma il golfo di Poseidonia. A chi doppi il capo si presenta, contiguo, un altro golfo in cui e’ una città che si chiama Hyele…”

Strabone, Geografia (Libro VI, 1 -1)

 

Punta Licosa, Pini d’Aleppo pettinati dal vento

Punta Licosa è l’estremità che chiude a sud il Golfo di Salerno e apre passo al litorale cilentano.

Area marina protetta, Zona di Protezione Speciale, questo magnifico angolo di Cilento è considerato a pieno diritto una delle località balneari più belle del mondo, anche in virtù del fatto che è raggiungibile solo a piedi: il suo habitat naturale racchiude bellezze capaci di stregare qualsiasi visitatore, mentre la sua storia affonda le radici fin nel Paleolitico superiore.

Ma non solo.

Lo stesso nome Licosa rimanda ad un mondo di leggende antichissime, a tracce lontane che ancora oggi esercitano un incredibile fascino.

Licosa è infatti Leucosia: insieme a Partenope e Ligeia, Leucosia è una delle mitiche Sirene.

Il nome deriva, etimologicamente, dal greco Leukòs, che significa bianco, lo stesso colore delle secche e degli scogli a pelo d’acqua che circondano l’isolotto.

Unendo a ciò la conformazione pianeggiante di Licosa, così conforme alla descrizione omerica, è facile capire perché fin dall’epoca arcaica gli stessi Greci della zona localizzassero sull’Isola di Licosa il mito della Sirena Leucosia.

Secondo la più antica tradizione delle Argonautiche orfiche, Partenope, Ligeia e Leucosia, vinte nel canto da Orfeo, si gettarono nel mare, dove furono trasformate in scogli.

Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, invece, la causa della loro morte è l’insensibilità di Ulisse al loro ammaliante canto: per questo si lanciarono nel mare che ne trasportò, in vari luoghi, i loro corpi.

Come Ligeia a Terina, Partenope fu rigettata dalle onde alle foci del Sebeto, dove sorse poi Napoli, la Neapolis (ossia la Città nuova) dei Cumani: ancora oggi, partenopeo è sinonimo di napoletano.

Il corpo di Leucosia prese invece forma di scoglio, appunto, l’isolotto di Punta Licosa.

Sempre in epoca greca, si fa menzione di “una piccola isola al largo della costa di Lucania, separata solo da un canale stretto dal promontorio che forma il confine meridionale del golfo di Poseidonia”.

Questo promontorio è chiamato da alcuni poeti ellenistici Il promontorio di Nettuno, comunemente noto come Posidium Promontorium (τὸ Ποσειδήϊον) e Promontorio delle Sirene.

Licofrone, anche lui poeta ellenistico del III sec.a.C., nel suo enigmatico poema Alessandra racconta la storia delle Sirene successiva al passaggio di Odisseo, e confermando la variante occidentale del mito delle Sirene, diffusa in Magna Graecia grazie allo Pseudo – Aristotele, autore anonimo del De Mirabilibus Auscultationibus, chiama Punta Licosa Enipeum: “Sul promontorio enipeo sarà rigettata Leucosia, e il suo nome resterà all’isoletta per lungo tempo”.

Licosa era nota ai naviganti greci fin dal secondo millennio a.C., quando i Micenei percorrevano le rotte marittime dei metalli, che scambiavano con gli indigeni del posto.

Nel V sec.a.C. poi, l’alleanza politica tra Atene, Poseidonia, Elea e Napoli (del 454-450 a.C. le grandi Panatenee, che portano Parmenide e Zenone di Elea ad Atene) fa si che queste città abbiano miti e culti comuniGli Argonauti, le Sirene, Athena – ed anche santuari comuni. Esempio di ciò è riportato nella Retorica, dove Aristotele scrive: “Quando gli Eleati domandarono a Senofane se dovessero sacrificare e intonare lamenti in onore di Leucotea (altro nome di Leucosia, n.d.r.), oppure no, egli consigliò di non intonare lamenti se la consideravano una dea, e di non sacrificare se la consideravano una donna”.

Licosa continua ad avere un’importanza capitale per tutta l’antichità, sia nelle rotte tirreniche d’altura che nella difesa dagli attacchi marittimi.

Simmaco, il più importante oratore della tarda latinità, riporta nelle sue Epistole (5,13,2,25) che “il promontorio opposto (a Punta Licosa) è stato scelto dai ricchi romani come luogo per le loro ville”. E i resti di edifici antichi, che sono stati scoperti sull’isolotto stesso, dimostrano che anche quest’ultimo è stato scelto con scopi simili.

Licosa è infatti ricchissima di reperti archeologici di insediamenti, i più antichi dei quali sono risalenti all’XI-X secolo a.C.; si possono inoltre ammirare i resti di un porto antico, parte di una villa, colonne e tombe di età romana, in parte sommerse nel mare circostante.

Finito l’Impero Romano d’Occidente, non finisce la capacità attrattiva che Licosa esercitava, vista la ricchezza delle sue produzioni.

In seguito alle invasioni barbariche e alla successiva guerra greco-gotica, arrivarono a Licosa monaci italo – greci, ma soprattutto divenne zona d’insediamento dei Saraceni.

Da lì, essi potevano facilmente muoversi e compiere incursioni lungo un vasto tratto di costa, ponendosi a servizio, secondo convenienza, dei vari signori della zona. Erano infatti riusciti a conquistare Punta Licosa proprio in seguito all’aiuto portato ad una fazione, quella di Andrea, Console bizantino di Napoli, contro Sicone, Principe longobardo di Benevento: quando i Saraceni conquistarono Licosa, Andrea si mantenne infatti neutrale.

Qualche anno dopo, però, questa neutralità venne spezzata, allorchè i Saraceni “esagerarono” con gli atti di pirateria: praticamente, da mercenari a servizio cominciarono a razziare in autonomia, e la cosa diede fastidio a tutte le fazioni che fino al giorno prima li avevano assoldati.

Avvenne allora che quattro città autonome si strinsero in una lega, la prima tra città italiane contro stranieri: il duca di Napoli, Sergio, con le navi napoletane e con quelle di Sorrento, di Gaeta e di Amalfi, attaccò i Saraceni, dando inizio alla Battaglia di Punta Licosa (siamo nell’846 d.C.).

Per tutto il Medioevo l’approdo di Licosa fu motivo di lotte, e lunga fu la lista di popoli che vi si insediarono: prima la dominazione longobarda, poi la conquista normanna, con la concessione all’Abate Costabile Gentilcore (cui si deve il Castrum Abbatis da cui Castellabate) e la realizzazione di un polo commerciale, poi Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli.

Estratto da “Descrizione topografica fisica economica politica de’ Reali Domini al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie”, Giuseppe Del Re, 1830.

Teatro di lotte e sanguinose battaglie in epoca napoleonica, quando navi della flotta inglese cercarono di sobillare la popolazione in chiave antifrancese – popolazione che invece appoggiava i napoleonici guidati dal còrso Matteo Buttafuoco, Licosa continua ad avere un ruolo chiave nella storia anche in epoca recente, quando durante la Seconda Guerra Mondiale diventa teatro, come tutta la costa, di una delle più complesse e importanti operazioni belliche di tutto il conflitto: l’Operazione Avalanche, ovvero lo Sbarco di Salerno, durante la Campagna d’Italia degli Alleati anglo-americani.

Storia quindi, tantissima, leggenda…e natura, intrecciate come sempre.

Dall’Oriente arrivarono i Pini d’Aleppo, ancora oggi pianta simbolo – insieme ai carrubi – di questo tratto del litorale cilentano, tanto che la sagoma dei pini d’Aleppo pettinati dal vento è forse la cartolina più famosa di Punta Licosa: come l’ulivo pisciottano, albero migrante simbolo le cui radici affondano non solo nella terra, ma nella storia del Mediterraneo.

A livello geologico, la caratteristica principale della zona costiera licosana è la presenza del “Flysch del Cilento“, una rara tipologia di roccia composta da diverse stratificazioni (costituite tipicamente da alternanze cicliche di arenaria, di argilla o marna, di calcare). Tali rocce preistoriche degradano lentamente nel mare estendendosi anche per oltre cinque miglia.

Nei fondali questa conformazione rocciosa, formata da numerose cavità e spaccature, viene utilizzata come rifugio da diversi organismi animali e vegetali, ed è possibile osservare una tipologia ricorrente in tutta questa zona sommersa tra Palinuro e Santa Maria di Castellabate: grandi spianate a Posidonia alternate a secche rocciose e cigliate, ricche di vita e di coralligeno e numerose grotte che si aprono sulle pareti a picco sul mare.

E’ possibile, infatti, osservare una tipica fauna bentonica del coralligeno mediterraneo tra cui spiccano ventagli di gorgonie gialle (Eunicella cavolinii) e rosse (Paramuricea clavata). Tra i pesci, la cernia bruna (Epinephelus marginatus) e quella dorata (Epinephelus alexandrinus), la corvina (Sciaena umbra), il dentice (Dentex dentex) e la ricciola (Seriola dumerili).

Qui vivono organismi che, per il momento, possono essere visti solo nelle regioni meridionali, come la grande stella serpente color porpora (Ophidiaster ophidianus), la vivace donzella pavonia (Thalassoma pavo) e gli aranciati astroidi (Astroides calycularis). Ovviamente sono presenti gli organismi sciafili che amano l’oscurità come il ghiozzo leopardo (Thorogobius ephippiatus), il granchio ragno delle caverne (Herbistia condyliata), la rara brotula nera (Oligopus ater) e la spugna (Petrobiona massiliana) ritenuta estinta.

La flora terrestre è caratterizzata dalle piante della macchia mediterranea, in particolare da specie arbustive come il lentisco, l’erica, il corbezzolo, il mirto, l’euforbia arborea e altre cespugliose quali i cisti e il rosmarino.

L’avifauna comprende il Cormorano (Phalacrocorax carbo), il Gabbiano reale (Larus cachinnans), il Gabbiano corso (Larus audouinii), il Beccapesci (Sterna sandvicensis), il Gabbiano roseo (Larus genei), il Martin pescatore (Alcedo atthis), e la Gavina (Larus canus).

La fauna terrestre fra le sue specie conta rettili come il Biacco (Coluber viridiflavus), il Colubro d’Esculapio (Elaphe longissima), il Cervone (Elaphe quatuorlineata), il Ramarro occidentale (Lacerta bilineata) e la Lucertola campestre (Podarcis sicula), e fra gli anfibi la Raganella (Hyla italica) ed il Tritone (Triturus italicus).

Non è quindi difficile capire perché questo tratto di mare sia Riserva Marina Mondiale di Biosfera.

Non è nemmeno difficile capire perché chi visita Punta Licosa tende a non dimenticarla facilmente: è una bellissima Sirena, e come tale, ammaliatrice.

Punta Licosa vista aerea

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

2 Risposte a “Itinerari cilentani – Dalle sirene ai pirati saraceni: Punta Licosa.”

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