Castelvecchio in val d’Elsa

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E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare.                                                                       (Giovanni Boccaccio)

…Solo Una Storia…

Mi chiamo Niccolò, ho 85 anni e sento che la vita sta lentamente lasciando questo corpo. Ho vissuto a lungo e ho visto molte cose. Ho visto uomini morire in guerre che non avevano voluto, ho visto conti e cardinali arricchirsi sulle spalle dei poveri e ho visto la peste, livellare ogni ceto, riducendo tutti allo stesso quantum, ricchi e poveri. Sono stato molte cose, sono stato un eroe, ma forse ero solo uno stupido che doveva aspettare che l’età gli donasse un briciolo di saggezza, sono stato coraggioso, ma purtroppo sono stato anche un codardo. Il pensiero del mio gesto più vile mi ha perseguitato per tutta la vita e ho vissuto ogni giorno nel tentativo di fare ammenda. Ora che i miei giorni si tingono del colore dei tramonti, ho bisogno di raccontare per la prima volta la mia storia. Me ne sono sempre vergognato, ma è arrivato il momento che lasci questa storia a questo mondo e che faccia pace con i mie fantasmi, visto che a breve li incontrerò.

Sono nato da un semplice calzolaio e per vivere aiutavo i miei genitori nei campi e con il bestiame. Ben presto la vita del contadino cominciò a starmi stretta e decisi di diventare un eroe e entrai nella milizia.  Dopo lunghi anni di duro addestramento scoprii che non c’era niente di eroico in quello che stavo facendo, difendevo aristocratici boriosi e pieni di soldi che ogni cambio di vento decidevano di rischiare la mia vita e quella dei mie compagni per accaparrarsi un pezzo di terra. Un giorno come tanti decisero di mandarmi a Castelvecchio, era il 17 novembre del 1468. Veniva inaugurata la grande torre. Appena arrivato con i miei compagni, rimanemmo stupidi dal paese.Sapevamo che era stato quasi completamente distrutto dal terremoto del ’58, ma davanti a noi si ergeva una cittadina perfetta, nessun accenno a rovine o a case diroccate. I paesani erano tutti sorridenti, coraggiosi e resistenti, nonostante il periodo particolarmente difficile. I festeggiammenti furono piacevoli, le donne avevano arrostito i cinghiali nella piazza davanti alla chiesa e preparato patate e cavoli, pizze, pane e vino in quantità. L’aria che si respirava era un’aria di speranza. Ci lasciarono a Castelvecchio, a difesa della torre e nel giro di qualche mese eravamo sempre più paesani che soldati. La gente ci aveva accolto con piacere e ci eravamo integrati perfattamente nella vita della città. I primi con i quali facemmo amicizia furono un gruppetto di ragazzini. Finito di lavorare nei campi, o quando riuscivano a farla franca e a sgattaiolare lontano dai loro impegni, venivano a spiarci. Inizialmente da lontano, poi la curiosità ebbe la meglio e si avvicinarono sempre di più, fintanto che il più coraggioso di tutti, Gualtiero, fu mondato come portavoce. Mentre lo ascoltavo parlare a nome di tutto il gruppo, guardavo i suoi occhi e vedevo quella luce che anni prima mi aveva spinto a entrare nella milizia, la voglia di cambiare vita, di vedere il mondo e di aiutare gli altri. Con la voce controllata e gli occhi fissi in un punto per farsi forza, Gualtiero si presentò e ci chiese se potevamo insegnare a lui e agli altri a combattere e a usare un archibugio. Sognavano di partire, di arruolarsi, di vedere mondi lontani e di diventare degli eroi. Lo canzonammo e lo spaventammo, per non farlo tornare più. Pensavamo che la lezione gli sarebbe bastata, invece il giorno dopo si ripresentò con la stessa domanda e così il giorno dopo ancora. Per una settimana Gualtiero tornò ogni giorno a chiederci di insegnarli a combattere e per una settimana noi ci facemmo beffe di lui, ma alla fine accettammo.
Prendemmo lui e i suoi quattro amici come garzoni, gli facevamo fare le cose più umili e gli insegnavamo a combattere e a usare un archibugio. Lo facemmo per passare il tempo, ma alla fine mi resi conto che mi stavo veramente affezzionando a quei ragazzi. I loro sogni erano così simili a quelli che avevo fatto io alla loro età e le loro vite erano così simili a quella dalla quale io ero scappato. La verità è che gli volevo bene, veramente un gran bene.Erano giorni difficili, alcuni in paese si erano ammalati nuovamente di peste e la paura del contagio era forte.
Fu così che, un giorno qualunque, arrivò il messo. Portava le insegne delle autorità comunali. Salutammo i ragazzi e entrammo nella sala della torre per leggere il dispaccio.
” …con il presente si dichiara Castelvecchio centro di diffusione della peste, da oggi viene ordinato l’immediato isolamento con guardie armate nell’interesse della società…”
“..ma i casi di peste sono sporadici, è morto il figlio del fornaio, ma era un ragazzino malaticcio e la vedova DeBarsi, ma era talmente vecchia che sarebbe morta comunque! ” Scattai guardando il capitano.Il messo riferì che gli ordini dovevano essere attuati immediatamente altrimenti sarebbero stati presi i provvedimenti che erano elencati nel dispaccio e cioè saremmo stati considerati come la popolazione locale e saremmo stati rinchiusi anche noi a Castelvecchio.
Frastornati e con la morte nel cuore, ma decisamente poco consapevoli di quello che stavamo andando a fare, preparammo i bagagli e chiudemmo le entrate del paese, da quel momento in poi a nessuno sarebbe stato concesso di entrare o di uscire.

I giorni passavano e le uniche notizie che avevamo ci venivano date da Gualtiero, che puntualmente ci faceva rapporto sulle condizioni delle persone in paese. La peste lentamente e inesorabilmente si era propagata in tutto Castelvecchio e i morti cominciavano ad essere molti, Gualtiero iniziava ad avere paura, il cibo scarseggiava e anche l’acqua iniziava ad essere un vero problema. Era l’estate più calda a memoria d’uomo. Due degli amici di Gualtiero si erano ammalati e non erano sopravvissuti e fu allora che ci chiese di farlo fuggire. Guardavo i suoi occhi da dietro gli spazi delle assi della grande porta e potevo leggere la sua supplica e la sua paura, mi chiedeva di aiutarlo, era troppo giovane per finire la sua vita così, senza nessuna possibilità. Rifiutai. Era una notte buia, una notte di luna nuova, dove solo le stelle erano testimoni, quando lo vidi. Era solo un’esile ombra, che cercava di saltare il muro di cinta e di scappare. Provai a chiamare, urlai e intimai all’ombra di fermarsi, ma l’ombra non lo fece e io avevo degli ordini. Imbracciai l’archibugio e sparai nella notte. Si accasciò subito e io corsi con il cuore in gola, sapendo che avevo appena colpito Gualtiero, che lo avevo ucciso. Quando arrivai trovai un ragazzino pieno di sangue, che mi guardava terrorizzato, ma non era lui. Il giorno successivo quando Gualtiero venne a riferirci la situazione, non ebbi il coraggio di raccontargli che Alfio era morto nel tentativo di scappare, gli lasciai credere che ce l’aveva fatta, che se ne era andato. Parlammo a lungo e lui mi disse : ” sai, c’ho pensato a lungo e non voglio più scappare come ha fatto Alfio. So che l’hai lasciato andare perchè l’hai riconosciuto e so che hai sparato a vuoto, perchè tu sei mio amico e sei un eroe. Io non voglio tradire la tua fiducia, io sono forte, non mi ammalerò, sopravviverò a questa peste e diventerò un soldato, un eroe, proprio come te”.

Ricordo quelle parole come se le avessi sentite pochi minuti or sono. Mi uccisero come una coltellata al cuore, come solo la bontà e l’innocenza di un ragazzino è in grado di fare.

Nei giorni successivi non vidi Gualtiero, si ripresentò, quasi una settimana dopo. Stavo per prenderlo in giro, dicendogli che allora l’altra volta erano state solo belle parole, ma mi fermai. Era ridotto molto male, la peste se lo stava portando via.
” Sono venuto a salutarti amico mio, a quanto pare non sono stato in grado di vincere questa battaglia, ma muoio felice, sapendo che almeno Alfio, grazie a te ce l’ha fatta e che il mondo è popolato da uomini buoni come te”.

Quella fu l’ultima volta che lo vidi. Nel giro di un mese a Castelvecchio non rimase nessuno in vita.

La peste si era presa per correttezza anche un paio di noi che militavamo di guardia, ma aveva deciso di risparmiarmi, perchè probabilmente trovava molto più divertente farmi convivere con tutto questo.

Ho pensato mille volte che avrei potuto salvarli, molti di loro non erano ammalati, li avrei potuti far uscire, invece non l’ho fatto, ho eseguito gli ordini senza pensarci un secondo, da bravo soldato. So benissimo che a condannarli a morte non è stata la peste, ma sono stato io e a nulla mi serve pensare che stavo semplicemente ubbidendo a quegli ordini, ogni giorni rivedo gli occhi di Gualtiero e so la verità. Ora andrò ad affrontare i miei fantasmi e spero che mi perdonino, ma prima voglio chiedere perdono agli uomini, perchè l’unico limite umano è solo la propria stupidità.

 

il nostro itinerario…

A parte il racconto, quello che ho scritto è in parte vero, cioè che il 17 novembre del 1468 venne ianugurata la grande torre, che è ancora in parte in piedi, che vi fu un terremoto che distrusse mezzo paese nel 1458 e che il paese fu chiuso dalle guardie armate nel 1485, dopodichè il paese viene e rimane abbandonato. Castelvecchio purtroppo ha una storia triste fatta di guerre e di richieste di agevolazioni a San Gimignano, a volte accettate a volte no. Un articolo molto bello con tutta la storia di Castelvecchio lo trovate  QUI.

Per le indicazioni, potete trovare la mappa del percorso per arrivare a Castelvecchio nella sezione MicMap.

Sul posto vi posso dire che è una bellissima passeggiata, è una riserva naturale, quindi sicura e popolosa di animali. Il paese è oramai ridotto a ruderi, ma viene tenuto molto bene e stanno procedendo i lavori di ristrutturazione della chiesa. La torre del racconto esiste ancora, una volta arrivati alla fine del paese, prendete il sentiero sulla dx e arriverete alla torre e a un panorama mozzafiato.

Quando abbiamo fatto visita a Castelvecchio, c’erano due ragazze inglesi che dipingevano i ruderi, rendendo tutto molto suggestivo.

Il sentiero per Castelvecchio è molto bello e molto facile, a parte un paio di salite poco impegnative, è in media pianeggiante. In alcuni momenti sembra di trovarsi all’interno di una via cava, visto che il sentiero è scavato quasi brutalmente, lasciando gli alberi per metà con le radici sospese nel vuoto.

 

…Qualche Foto di Castelvecchio…

 

 


 

Consiglio dell’esploratore

Prendetevi tutto il tempo per camminare sul ponte di legno

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2 Risposte a “Castelvecchio in val d’Elsa”

  1. Una guida unica nel suo genere, veramente bella. Complimenti. Qualche indicazione in più nella sezione mappe e sarebbe perfetta.

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