Bizantini, Longobardi, Saraceni, Basiliani.

Campanile di San Basilio, Centola (fotografia di Gisella Forte)
Campanile di San Basilio, Centola (fotografia di Gisella Forte)

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., e le invasioni barbariche, una serie di avvenimenti avrà conseguenze decisive, anche per il Cilento. Gli Ostrogoti di Teodorico il Grande entrano in Italia. Seguono trent’anni circa di relativa prosperità, ma salito Giustiniano al trono di Bisanzio, muove loro guerra per riconquistare la pars occidentis.

Comincia così la Guerra greco – gotica, che vedrà i Bizantini vincere, grazie all’alleanza con i Longobardi. Ben presto, però, gli alleati si trasformano in assoggettatori, occupando un po’ in tutta la Penisola territori bizantini: a sud, Zottone forma il Ducato longobardo di Benevento, mentre la linea di costa e tutta la Calabria restano bizantine.

Il Cilento, già frontiera di mondi nel mondo antico – come spiegato nel precedente post, diventa allora cerniera tra il mondo bizantino e quello longobardo, mentre le sue coste vivono nel fondato timore degli assalti dei Saraceni. Popoli dell’Europa del Nord e dell’Est, e popoli del bacino del Mediterraneo, un crogiuolo unico, ancora.

I Longobardi calati in Italia portano con sé anche i mercenari bulgari di Al’tzek, il cui titolo di Khan (letteralmente, Capo), viene cambiato, dal suo nome, in quello di Gastaldo. I Longobardi istituiscono così il Gastaldato di Lucania, diviso in Distretto di Lucania e di Cilento, ma la cultura italo – greca, risultato del divenire bizantino di ciò che fu romano, lungi dallo scomparire coesiste con quella longobarda tra il mare e l’interno, mentre le scorrerie dei Saraceni causano lo spopolamento della prima linea di costa, costringendo le popolazioni ad arroccarsi nei paesi di collina; fenomeno rimasto vivo fino ai nostri giorni, dato che, a parte Agropoli che fu appunto roccaforte saracena, nessun paese della linea di costa fino a Sapri è sede comunale:  ad esempio, Acciaroli, nel Comune di Pollica, Marina di Ascea nel Comune di Ascea, Palinuro nel Comune di Centola, Marina di Camerota nel Comune di Camerota, Scario nel Comune di San Giovanni a Piro, Policastro Bussentino nel Comune di Santa Marina…

La guerra greco – gotica e questi successivi avvenimenti segnano per il Cilento una storia lunga, ricca e forse troppo poco conosciuta, ma fondamentale per chiunque voglia scoprire quanto è profondo il legame tra l’Oriente e l’Occidente, e di quante migrazioni siamo figli.

Nei secoli successivi alla Guerra, infatti, si produce un flusso migratorio di monaci greci, la cui origine è nel monachesimo orientale basato sulle Regole di San Basilio (330-379), vescovo di Cesarea, studioso della Bibbia e della cultura stoica e neoplatonica.

I monaci basiliani cominciano a rifugiarsi nel Cilento e nei territori calabro – lucani nel corso del VI secolo, prima durante la campagna militare contro i Goti guidata da Narsete, poi in seguito alla conquista araba dei Balcani e all’ascesa al trono imperiale d’Oriente dell’imperatore Eraclio, fautore dell’eresia monotelita durante il VII secolo.

Tuttavia è solo in seguito allo scoppio della lotta iconoclasta che sconvolge l’intero Oriente, voluta nel 726 d.C. dall’imperatore Leone III Isaurico, che il flusso migratorio nel Cilento diviene considerevolmente rilevante, allorché i monaci preferiscono stanziarsi in territori esterni a quelli politicamente controllati dal basileus e quindi soggetti alle leggi iconoclaste. Secondo l’insegnamento di San Basilio, infatti, l’immagine, al di là dell’iconolatria, rappresenta uno strumento di evangelizzazione che poteva facilmente comunicare alle masse dei fedeli la Parola di Dio.

Sbarcati perlopiù a Velia, della quale conoscevano presumibilmente il nome per la venerazione delle reliquie dell’apostolo Matteo, i primi monaci basiliani procedevano verso l’interno in cerca di un luogo sicuro lontano dall’imperatore e dalle scorrerie saracene. La seconda fase, quella lauriotica, porta i monaci a riunirsi dapprima in cellae e quindi in laurae. Si viene così a sviluppare un nuovo modello: quello cenobitico o conventuale.

Molti aggregati monastici sorgono dunque in questa fase nei centri abitati, o al contrario veri villaggi sorgono per incellulamento accanto a primitivi monasteri. Presupposto essenziale per questa ulteriore evoluzione del monachesimo basiliano è certamente, in questo stadio, un altro sensibile aumento del flusso migratorio nella direzione del Cilento. Ciò fu in buona parte dovuto all’oculata gestione politica dei principi longobardi di Salerno, i quali si resero conto dell’opportunità che veniva offerta dalla presenza dei monaci in quell’angolo sperduto del loro principato per lo sviluppo economico-sociale di quei territori.

Sono dunque i principi di Salerno ad estendere la loro tuititio, la loro protezione, ai monaci italo – greci che sempre più numerosi giungevano “en tois meresi ton prinkipion”, nella regione dei principi, come si legge in un antico sinassario di Grottaferrata.

San Mauro, affreschi della cripta della Chiesa (fotografia di Gisella Forte)
San Mauro La Bruca, affreschi della cripta della Chiesa (fotografia di Gisella Forte)

Cambia, a questo punto, profondamente la figura del monaco, che da asceta diviene elemento attivo nel tessuto sociale delle campagne cilentane. Vengono ridotte a coltura, grazie alla loro opera, zone selvose e sterpose, altre dissodate, altre ancora adibite a piantagioni e, cosa più importante, autentici villaggi agricoli vengono costruiti nel circuito agrario del cenobio.

San Fantino ad esempio si stabilisce nella zona del golfo di Policastro che diviene poi nota come Monte Bulgheria. Qui, luogo dove nel V secolo, sempre durante la guerra greco – gotica, erano stanziali guarnigioni bulgare, già da tempo esistevano delle cellae, e questa doppia traccia è rimasta ai nostri giorni nel toponimo del Comune che sorge ai piedi del Monte Bulgheria: appunto, Celle di Bulgheria.

Esempi di questa storia ce ne sono molti, e di grande valore.

Roccagloriosa, meraviglioso paesino incastonato tra la valle del Mingardo, il Monte Bulgheria e il Golfo di Policastro, già frequentato dal IV sec. a.C., deve il suo nome alla Cappella della Vergine Gloriosa, costruita dai soldati bulgari.

A Vatolla, famosa per aver ospitato Giambattista Vico, c’era una arimannia longobarda, e il paese era uno dei Castelli longobardi, come il vicino Castellum Cilenti, centro fortificato sulla vetta del Monte della Stella che era sede amministrativa dell’Actus Cilenti.

Del Cilento bizantino, invece, imperdibile è  il Cenobio, costruito sui resti di una antica villa romana, noto come Badia di Santa Maria, a Pattano, uno dei monasteri italo – greci più importanti del territorio, nonché il monastero bizantino meglio conservato dell’Italia meridionale, all’interno del quale è possibile vedere addirittura dipinta la commistione di Oriente e Occidente: l’Ascensione dipinta sull’abside della Chiesa di San Filadelfo, nella Badia, rappresenta la Maiestas Domini (Cristo assiso in trono), di tradizione latina, invece che il Cristo in mandorla seduto sull’arcobaleno, tipico della tradizione bizantina. Questo a lato del dipinto raffigurante gli Otto Padri della Chiesa d’Oriente, tra cui si riconoscono Giovanni Crisostomo ed Epifanio.   

A Camerota, tra Cala del Cefalo e Cala d’Arconte esiste un percorso che si snoda tra colline, pinete di Pini d’Aleppo e terrazzamenti a picco sul mare: è il Sentiero di Sant’Iconio, che porta al Monastero basiliano di S. Iconio (IX-X Sec.). Chi arriva in vetta può osservare, a suo piacimento, i resti del cenobio, con alcuni affreschi, uno stazzo di pastori (u iazzo, in dialetto: dal greco iautmós, luogo di riposo degli armenti), alcuni ulivi millenari, e un esteso campo di liquirizia spontanea, pianta officinale introdotta proprio dai monaci bizantini, mentre il panorama si apre su tutta la linea di costa e arriva fino all’Arco Naturale, alla Baia del Buondormire e a Capo Palinuro.

Importanti poi i Diruti e l’Abbazia di Grottaferrata di Rofrano, e soprattutto Sant’Arcangelo a Perdifumo: qui Pietro da Salerno tentò una riforma di tipo cluniacense; il Monastero di S. Giovanni a Piro, il Monastero di S. Maria Odighitria di Policastro, il Cenobio di S. Maria di Centola, di S. Nicola a Cuccaro Vetere e di S. Giorgio, nella borgata di Acquavella, il Monastero di S. Barbara nell’omonima località, le abbazie di S. Maria degli Eremiti a S. Mango di Sessa Cilento e di Maria SS. del Monte Gelbison di Novi Velia (Madonna Odighitria anche lei).

Anche la toponomastica, come accennato con Celle di Bulgheria, racconta questa storia: Laurito deve il suo nome ad una Laura fondata dai monaci, e tra le sue chiese si annovera San Filippo d’Agira, con affreschi bizantini.

Tra la foce del fiume Mortella e il Monte Stella, vi sono alcune località, chiamate Cellaro e Laurarella, non lontane da un paesino, Celso, come il gelso, che i basiliani avevano piantato in questa zona appena dissodata, zona nota come La Cora di Velia.

La presenza basiliana nel Cilento è del resto riccamente documentata dall’agiografia. Nei pressi di San Mauro La Bruca (dove si trova invece, per non farci mancar nulla, un’abbazia benedettina che poi apparterrà per secoli all’Ordine dei Cavalieri di Malta), cioè nel Monastero di San Nazario, San Nilo fu tonsurato monaco e nel Cilento il Santo di Rossano fu certamente nel 940 per sfuggire alle persecuzioni del tumarca: «egli penetrò in una regione tutta longobarda, ma pure ricchissima di eremi e cenobi bizantini», scrive il biografo del Santo a proposito del suo viaggio nel Cilento.

Ancora l’agiografia ci riferisce i nomi di alcuni santi orientali tuttora venerati in un ampio territorio verso il quale si estende l’influenza basiliana: S. Saba, S. Nicodemo, S. Fantino, S. Demetrio, S. Nicola di Mira, S. Elia, S. Bartolomeo, S. Filadelfo, S. Cristoforo.

Dal IX all’XI secolo, i manieri meglio fortificati sono Camerota, Montelmo di Licusati, S. Severino di Centola, Novi Velia, Laurino, Roccagloriosa.

La lotta tra Bizantini e Longobardi è comunque lunga, tanto da portare alla scarsità di combattenti: la cosa avrà conseguenze decisive, perché vengono ingaggiati come mercenari i Saraceni.

Non è mistero infatti che alcuni signori locali chiesero aiuto ai Saraceni nella loro personale lotta contro altri signori: è il caso di Andrea, console bizantino di Napoli, nella sua dispota con Sicone, principe longobardo di Benevento. Siamo intorno all’830 d.C.

In cambio dell’aiuto ricevuto, infatti, il Ducato di Napoli si mantiene neutrale quando i Saraceni conquistano Punta Licosa, facendone una roccaforte.

Qualche anno dopo, i Saraceni prendono anche la roccaforte bizantina di Agropoli, facendone un ribàt, ossia una nuova fortificazione. Da lì, le loro scorribande avrebbero tenuto in scacco molti porti per molto tempo, facendo di Agropoli la città saracena per definizione, nel Cilento. Ancora oggi, Sarracino è l’aggettivo che si usa per indicare una persona scura di carnagione, di occhi e di capelli.

Quando la minaccia saracena si fa troppo grande, perché i saraceni cominciano a compiere atti di pirateria in autonomia, lo stesso Ducato bizantino di Napoli si allea con le potenze marinare di Amalfi, Sorrento e Gaeta e li attacca, nella Battaglia di Punta Licosa, del 846 d.C. Nonostante la vittoria, il pericolo saraceno continua.

Nel 915 d.C., i Saraceni agropolitani distruggono Policastro, che era stata la greca Pixous e la romana Buxentum, ed altre razzie e distruzioni seguono, fino al 1028, quando i Saraceni sono definitivamente cacciati da Punta Licosa dal principe longobardo Guaimario III di Salerno (con cui Salerno conobbe uno splendore tale da battere moneta con il motto Opulenta Salernum).

“Li Turchi” non smetteranno però di fare paura, per secoli e secoli ancora… Di storia da raccontare, ancora, ce n’è molta.

Santa Maria di Costantinopoli, Agropoli (fotografia di Gisella Forte)
Santa Maria di Costantinopoli, Agropoli (fotografia di Gisella Forte)

Pubblicato da cilentofortravellers

Dietro questo blog si nasconde la penna di Gisella Forte, scrittrice freelance, blogger per passione, "viaggiatrice d'occidente" con casa, amici e piante su varie sponde del Mediterraneo, cilentana doc innamorata ovunque delle sue radici e dei tramonti sul suo mare. Parlare di Cilento è atto dettato dalla volontà di divulgare, far conoscere, far fruire un territorio bellissimo e ancora quasi "sconosciuto".

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