All’alba dei tempi c’era forse un popolo misterioso che abitava il monte dove sono cresciuta: il Monte Circeo.
Si racconta che le mura della loro città erano così grandi e spesse da poter essere costruite solo da uomini giganti: dai Ciclopi, o da qualche loro cugino pari in forza ed altezza. Avevano levigato e sollevato gli enormi massi che oggi formano il muro di cinta dell’Acropoli del Circeo, più o meno come io sollevo un sassolino. Forse cavalcavano mammuth, o li portavano al guinzaglio come io porto un cane. O almeno così pensavo da bambina.
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Mura ciclopiche di San Felice Circeo
Le mura ciclopiche di San Felice Circeo hanno suscitato interrogativi e misteri, scomodato leggende, teorie di alieni, popoli di astronomi e costellazioni.
L’Acropoli di Circei, a 300 m s.l.m, è cinta da blocchi di calcare larghi e lunghi fino a 3 metri, disposti ad incastro come in un muro a secco alto fino a 6 metri, levigati all’esterno e con angoli retti geometricamente perfetti.
Come sono stati spostati quei massi enormi? Chi ha saputo costruire un’opera megalitica ineccepibile nella matematica euclidea? Come vivevano quegli uomini? Da lassù controllavano tutto il loro mondo: la distesa di mare arata dal vento a perdita d’occhio, interrotta solo dalle 4 sagome delle isole Ponziane; il golfo di Gaeta e quello di Anzio orlato da dune e laghi costieri; la selva fitta alternata agli acquitrini insalubri fino agli Appennini, che, senza avvertimento, increspano d’improvviso la Pianura Pontina in vette.
Le mura poligonali sono state costruite dai Pelasgi?
L’idea di discendere dai Pelasgi mi affascina. Una ciurma di navigatori scacciati in patria avrebbe trasportato per mare la cultura meravigliosa e la tecnologia micenea. Avrebbe fondato colonie in Italia, l’acropoli del Circeo e le altre mura in opera poligonale delle città del Lazio.
In effetti il primo archeologo che visitò le mura poligonali della fortezza del Circeo non ebbe dubbi. Secondo Petit-Radel (XVIII secolo) le mura di Arx Circeii erano state costruite dai Pelasgi. E la somiglianza con le mura di Micene e di Tirinto era in effetti schiacciante.
I Pelasgi erano esperti di astronomia, utile per navigare e coltivare, e leggevano il mondo sfogliando gli astri. Il pozzo ipogeo dell’Acropoli del Circeo, uno spazio a volta scavato in profondità nella roccia, sarebbe stato la loro finestra sul cielo notturno: un telescopio senza lenti che dal foro ad altezza suolo inquadra un angolo parlante di volta celeste.
La teoria mi affascina e sento già nelle vene scorrere il mare, le isole dei miei lontani antenati e le stelle. Gli archeologi però non sono d’accordo. La teoria dei Pelasgi però continua ad affascinare, perché fa risalire questi enormi massi disposti magistralmente, a un tempo lontanissimo, quando la storia ancora non esisteva e le parole non erano ancora state scritte.
Le Colonia di Circeii
Gli archeologi datano le mura di Micene all’Età del Bronzo. Le mura del Circeo invece sarebbero decisamente più recenti. Secondo gli archeologi a costruirle sono stati i Romani.
Ciò ha un fondamento nella storiografia latina che parla di un re Etrusco, Tarquinio il Superbo (o meglio del figlio Arrunte) che nel 509 a.C decide di espandere per la prima volta i possedimenti di Roma.
Fonda una colonia al Circeo ed una a Signa, costruisce delle possenti mura difensive ed arruola maestranze dalle campagne italiche per farlo. Le mura di cui parla la storiografia non sono quelle dell’Acropoli del Monte Circeo però. Sono quelle ancora visibili nel centro storico di San Felice Circeo. Fu dopo la conquista della colonia romana da parte dei Volsci, che la tennero un anno intero che i Romani, riconquistatala a fatica nel 393 a.C decisero di costruire delle mura inespugnabili. Le mura del Monte Circeo non sarebbero altro che una fortezza costruita per difendersi dai possibili attacchi volsci e per riparare e proteggere i coloni di Circeii in caso di assedio.
Ulisse e Circe nel mito latino
I latini conoscevano bene il mito greco di Odisseo, che eroe vittorioso, si perde in mare, naufragando su un’isola abitata da una maga temibile che trasforma i suoi compagni in porci. Odisseo si innamora della Maga Circe, figlia del Sole e di una Ninfa e, dopo 1 anno, con il favore degli dei, se ne torna ad Itaca dalla (anch’essa amata) moglie Penelope.
Ecco, il palazzo di Circe di cui parla Omero, secondo i Romani, sorgeva proprio sul promontorio del Circeo che, visto da sud, e soprattutto se visto da mare, sembra un’isola.
La forma sfuggente del Monte Circeo, profilo aguzzo e solitario sul bordo liquido della pianura Pontina, la selva impraticabile proprio come la racconta Omero, e la vicinanza a Roma (solo 100 km), lo rendono il posto perfetto per ambientare il mito di Omero e legare indissolubilmente le sorti dell’eroe greco a quelle dei Romani.
Niente di meglio allora che fondarci una bella colonia e scrivere il nome Circei sulle mappe di Roma. I Romani chiamavano il Monte Circeo Promontorium Circeorum: il promontorio di Circe.
Il popolo romano non aveva un’unità etnica e quindi la questione delle origini era particolarmente importante per Roma. Per trasformare un manipolo di gente di diverse origini in un popolo con una storia e un’identità comune.
Ulisse è sepolto al Circeo
Nel corso del tempo i poeti latini e greci ridisegnarono il mito cantato nell’Odissea in una lunga e florida produzione letteraria che ha come protagonista Circe.
Raccontano che Ulisse (il nome latino di Odisseo) e la temibile maga hanno un figlio (Telegono) dalla cui progenie discende niente meno che la stirpe romana.
Con un gusto spiccato per gli intrecci arditi vanno anche oltre e cantano di un giovane Telegono che parte per Itaca alla ricerca del padre mai conosciuto. Lo trova, per errore lo uccide e ne sposa la moglie, Penelope (ed anche il mito di Edipo è conquistato!). Telegono parte con la sposa di fresco e con il fratellastro Telemaco per il Circeo dove seppellisce il corpo del padre accanto a quello del compagno Elpenore (morto facendo baldoria nel palazzo di Circe ai tempi del naufragio e già sepolto sul Promontorio del Circeo).
Circe si sposa con Telemaco e dalle due ridenti coppie, fantasiosamente intrecciate, nascerà la stirpe di Romolo e Remo, i fondatori di Roma.
Il tempio sul Picco di Circe dedicato a Circe
Sul picco più alto del promontorio del Circeo (546 metri s.l.m) i Romani costruirono un tempio dedicato a Circe. I resti sono ancora visibili e si raggiungono con due diversi sentieri di trekking del Parco Nazionale del Circeo. Si sale a piedi, percorrendo la cresta della montagna o una salita ripidissima, per arrivare in cima ad un osservatorio privilegiato che sembra emerso dal mare perché noi sedessimo lì a sentirci più vicini alle stelle ed agli dei.
Strabone, geografo greco del I secolo d.C., racconta che al tempio di Circe veniva ancora mostrata la tazza da cui aveva bevuto Ulisse.
La testa della statua della maga, che presumibilmente ornava il tempio, è stata trovata negli anni 30 da un pastore locale sulle pendici del Circeo ed è esposta alla Porta del Parco di San Felice Circeo.
Le origini divine dei Romani: Ulisse e Circe
Grazie al mito di Circe i Romani potevano dipingersi come discendenti degli dei (Circe era dea per metà) e parenti diretti di un eroe greco del calibro di Odisseo.
Il mito di Circe però, anche se indelebilmente radicato nella cultura e nelle preghiere della gente, era destinato al declino e stava per essere soppiantato dalla fama di un’altra saga, stavolta (quasi) tutta farina del sacco dei Romani.
Nel I sec a.C. con la supremazia della Gens Julia (la famiglia di Giulio Cesare e di Cesare Augusto) che già si diceva discendente da Venere, un altro mito stava per sostituire quello di Circe ed Ulisse ed in esso Venere era la protagonista incontrastata.
I cugini dei Greci
Il nuovo mito racconta la storia di Enea, eroe troiano figlio di Venere, che in fuga da Troia vinta dagli Achei, parte per l’Italia e fonda sulla costa laziale una sua colonia. I figli di Enea fonderanno un giorno l’Urbe attraverso Romolo e Remo.
Virgilio mise il nuovo mito della fondazione di Roma nero su bianco scrivendo l’Eneide.
Oltre agli assetti politici di Roma erano ormai stravolti anche quelli del Mediterraneo. I Greci non dettavano più il bello ed il cattivo tempo per mari e coste; Roma non era più una delle tante città della penisola italica, ma l’impero più potente del mondo. A questo punto c’era bisogno di mettere le distanze tra i Latini e gli Achei, anche perché in Grecia si fceva pressione perché l’aristocrazia greca partecipasse più attivamente al governo di Roma.Noi non siamo figli di Ulisse e dei greci – racconta Virgilio – siamo i cugini, figli di un eroe trojano e di una dea bellissima.
Al Circeo si costruisce una nuova colonia intorno al canale romano della Darsena di Paola ed un nuovo tempio, più grande e dedicato a Venere, ma questa è già un’altra storia… Sulle orme di quella che più ci piace però, il popolo continuava a solcare i sentieri del Monte Circeo per rendere omaggio alla temibile Circe al tempi sul picco, rivolgendo forse anche un pensiero al caro vecchio Ulisse.
Letture sul mito di Ulisse e Circe al Circeo
Circeo nella leggenda e nella storia racconta ed approfondisce il mito di Circe e le evidenze storiche ed archeologiche sul Circeo, dall’uomo di Neanderthal ai giorni nostri.
La colonia di Circei parla di teorie archeologiche date per certe nel corso dei secoli e spiega perché potrebbero non esserlo, in una lettura interessante che tenta di aprire la strada a nuovi studi e nuovi scavi nell’area del Circeo.
Qui c’è un saggio della rivista letteraria Status Quaestionis che segue il mito di Circe e le sue metamorfosi nella letteratura e nella cultura greca e latina.
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